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Giornata mondiale osteoporosi. In Italia 560mila fratture nel 2017 e costi a 9,4 miliardi in aumento. Ecco il Report Firmo-Iof
L’onere associato alle fratture da fragilità in Italia supera quello associato alla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e all’ictus ischemico. L’analisi contenuta nel report ha anche messo a confronto una serie di Paesi denominati EU6: la prevalenza dell’osteoporosi in Italia (23,1% per le donne, 7,0% per gli uomini) nella fascia di età dai 50 anni in su è paragonabile infatti a quella di Francia, Germania, Spagna, Svezia e Regno Unito. IL RAPPORTO.
19 OTT - Nel 2017 si sono verificate 560mila nuove fratture ossee da fragilità (l’osteoporosi ad esempio che nel 2015 ha colpito 3,2 milioni di donne e 800mila uomini). Con costi che in tutto lo scorso anno hanno raggiunto i 9,4 miliardi, ma che entro il 2030 arriveranno a 11,9 miliardi: le previsioni indicano un aumento delle fratture da fragilità entro il 2030 in Italia del 22,4 per cento.
 


A presentare l’analisi è l’ultimo rapporto Firmo (Fondazione italiana sulla ricerca delle malattie dell’osso) e IOF (International Osteoporosis Foundation) “Ossa spezzate, vite spezzate”. elaborato in occasione della giornata mondiale dell’osteoporosi che si celebra in tutto il mondo il 20 ottobre.

“Nei prossimi decenni, con l’arrivo dei Baby Boomers all’età critica per le fratture da fragilità – ha detto Maria Luisa Brandi, presidente FIRMO - quelle che accompagnano l’osteoporosi, i numeri in Italia avranno una progressione purtroppo attesa e non possiamo non parlarne alla gente, non possiamo non sollecitare i decisori a prendere una posizione, né possiamo tacere su quanto la scienza ci mette oggi a disposizione e cioè la soluzione del problema o almeno il suo ridimensionamento. È troppo tardi per aspettare, non ce lo possiamo più permettere”.

“In aggiunta al disagio immediato, al tempo di guarigione e di recupero associati a una frattura – ha spiegato Cyrus Cooper, presidente IOF -una frattura iniziale aumenta significativamente il rischio di fratture successive e può innescare una spirale negativa di dipendenza dall’assistenza sanitaria, di aumento dei costi e compromissione della qualità della vita, nonostante l’esistenza di trattamenti e programmi orientati alla prevenzione secondaria delle fratture da fragilità”.
 
L’onere associato alle fratture da fragilità in Italia supera quello associato alla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e all’ictus ischemico. 
L’analisi contenuta nel report ha anche messo a confronto una serie di Paesi denominati EU6: la prevalenza dell’osteoporosi in Italia (23,1% per le donne, 7,0% per gli uomini) nella fascia di età dai 50 anni in su è paragonabile infatti a quella di Francia, Germania, Spagna, Svezia e Regno Unito.
 


 
A partire dai 50 anni, il rischio nel corso della vita futura (“lifetime risk”) di subire una frattura osteoporotica maggiore (MOF) in Italia per le donne è più alto rispetto alla media dei paesi EU6, mentre per la popolazione maschile è leggermente inferiore rispetto ai Paesi EU6.
 
Il rischio nel corso della vita di subire una frattura da fragilità varia tra uomini e donne e in base al sito interessato dalla frattura.
Esiste una differenza significativa per quanto riguarda il rischio di frattura tra i Paesi EU6, con i Paesi dell’Europa del Nord che mostrano l’incidenza più alta di fratture a livello mondiale.
 

 

I motivi non sono noti e non sono riconducibili a differenze di densità ossea. Tuttavia, i fattori più plausibili secondo il rapporto includono differenze nell’indice di massa corporea, scarso apporto di calcio, ridotta esposizione alla luce solare e, forse il più determinante, la prosperità socio-economica, che a sua volta può essere associata a scarsi livelli di attività fisica.

Indipendentemente dalle differenze nel rischio di frattura, il numero dei casi di frattura in tutti i Paesi è destinato ad aumentare a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.
 
E in seguito a una frattura da fragilità, è cinque volte più probabile che i pazienti subiscano una seconda frattura entro i successivi 2 anni. Ma anche se questo è appurato, gli studi suggeriscono che il 75% dei pazienti anziani non riceve un trattamento farmacologico per l’osteoporosi in seguito a una frattura del femore.

Questa lacuna terapeutica, spiega il rapporto,  non riguarda solo l’Italia, ma si osserva uniformemente in tutta Europa, a dimostrazione della scarsa importanza data alle fratture da fragilità fino a oggi e dell’attuale urgenza di dare priorità ai trattamenti post-frattura nelle nostre società in progressivo invecchiamento, prima che i costi diventino incontrollabili.
 
L’onere delle fratture da fragilità sugli individui è dimostrato dalla perdita annuale di anni di vita aggiustati secondo la qualità (QALY).

I QALY servono a misurare lo stato di salute di un individuo o di un gruppo di individui in cui i benefici, in termini di durata della vita, sono adattati per riflettere la qualità della vita. Un QALY è uguale a 1 anno di vita in perfetta salute. La perdita di QALY a seguito di fratture da fragilità è variabile in tutti i Paesi EU6. Queste differenze sono in gran parte determinate dalla variabilità del rischio di fratture e dalla distribuzione per età tra i diversi Paesi.

L’onere sanitario totale nel 2017 dovuto alle fratture da fragilità in Italia è stimato a 229.207 QALY, di cui il 69% è attribuibile a fratture che si sono verificate tra la popolazione femminile.

Inoltre, il rapporto sottolinea che anche se le fratture da fragilità colpiscano maggiormente le persone in età avanzata, il 20% delle fratture avviene in età di prepensionamento.

Nel 2017, in Italia sono stati 717.316 i giorni di malattia richiesti dalle persone in età di prepensionamento colpite da fratture da fragilità.

In Italia, per una frattura da fragilità viene richiesta una media di 21 giorni di malattia ogni 1.000 persone, un’incidenza vicina alla media dei Paesi EU6.
Nei Paesi in cui l’assistenza intergenerazionale è più consolidata, l’impatto delle fratture da fragilità sugli assistenti è generalmente maggiore. L’Italia mostra l’onere più elevato a carico degli assistenti tra tutti i Paesi EU6, con una media di 882 ore ogni anno ogni 1.000 individui dedicate all’assistenza di pazienti che hanno subito fratture del femore, quasi il doppio della media EU6 (443 ore/anno ogni 1.000 individui).
 
L’onere associato alle fratture da fragilità nei Paesi EU6 è maggiore rispetto a quello associato a molte altre malattie croniche (compresa la broncopneumopatia cronica ostruttiva). È inferiore solo al rischio associato a cardiopatia ischemica, demenza e carcinoma polmonare.
 


 
Le fratture da fragilità sono attualmente la quarta principale causa di morbilità associata alle malattie croniche, mentre erano al sesto posto nel 2009. In tutti i Paesi EU6, le fratture da fragilità contribuiscono annualmente a oltre 2,6 milioni di DALY (una misura dell’impatto di una malattia o di un infortunio in termini di anni di salute persi23), vale a dire in misura maggiore rispetto alla cardiopatia ipertensiva e all’artrite reumatoide.

In Italia la perdita di DALY ogni 1.000 individui a causa di fratture da fragilità è stata stimata a 20 anni, un valore superiore rispetto all’onere nazionale associato ad altre malattie croniche, come ictus (12 anni) e BPCO (12 anni).

Che fare? Il rapporto sottolinea che i modelli di assistenza coordinata post-frattura, come gli FLS (Fracture Liaison Servizice, modelli di assistenza sanitaria multidisciplinari per la prevenzione secondaria delle fratture), offrono il potenziale per un modello di somministrazione delle cure economicamente vantaggioso che riduce il rischio di rifrattura e mortalità, favorendo un aumento del numero di pazienti trattati e migliorando l’aderenza al trattamento,

I dati pubblicati dal servizio FLS di Glasgow, Scozia, hanno dimostrato che i modelli FLS sono economicamente convenienti per la prevenzione di ulteriori fratture nei pazienti che hanno subito fratture da fragilità, con una conseguente riduzione del numero di fratture e dei costi a carico dei sistemi sanitari.
 
Tuttavia, non tutti i modelli FLS sono identici in una prospettiva sia nazionale, sia internazionale. I modelli FLS presentano differenze in termini di servizi offerti, dai modelli che prevedono l’identificazione e l’informazione dei pazienti senza ulteriori interventi, fino a quelli più completi che includono l’indagine, il trattamento e il monitoraggio dei pazienti.
 
L’effetto di diversi modelli assistenziali sul trattamento dell’osteoporosi e la frequenza degli esami MOC sono stati esaminati in una meta-analisi che ha dimostrato che l'adozione del modello 3 “I”, che indica le priorità fondamentali Identificare/Investigare/Intervenire, si è rivelata più efficace nella valutazione e nel trattamento dei pazienti rispetto ai modelli 0-2 “I” (2 I: identificare, investigare; 1 I: Identificare).

Nei quattro modelli i risultati sono:

3 “I”: 79% è sottoposto a esame MOC 46% riceve un trattamento per l’osteoporosi;

2 “I”: 60% è sottoposto a esame MOC 41% riceve un trattamento per l’osteoporosi;

1 “I”: 43% è sottoposto a esame MOC 23% riceve un trattamento per l’osteoporosi;

0 “I”: nessuno studio sull’esame MOC 8% riceve un trattamento per l’osteoporosi.

Il rapporto conclude con la proposta di un piano di azione per superare l’emertgenza fratture da fragiulkità in Italia.
 
Mentre i modelli di trattamento coordinati possono essere considerati una soluzione universale per migliorare la diagnosi, il trattamento e il follow-up dei pazienti, dovrebbero essere prese in considerazione anche soluzioni strategiche locali adattate alla specificità delle politiche e dei sistemi sanitari, in un’ottica sia nazionale, sia internazionale.

Prendendo atto del crescente onere associato alle fratture da fragilità, il piano di azione nazionale per l’Italia richiede che gli sforzi delle politiche di assistenza si concentrino sui seguenti aspetti:

- assegnazione di priorità alle risorse disponibili per le sottopopolazioni a rischio di fratture successive;

- definizione di percorsi chiari per la gestione dei pazienti in seguito a una frattura da fragilità iniziale;

- maggiore utilizzo dei dati disponibili per quantificare e ridurre i costi di ospedalizzazione associati alle fratture;

- campagne per sensibilizzare i pazienti e incoraggiare un coinvolgimento proattivo nell’assistenza sanitaria.

L’Italia, commenta il rapporto, sta affrontando una situazione paradossale. Sulla carta esiste già un programma molto efficiente per incoraggiare il trattamento post-frattura:

- le associazioni mediche hanno adottato diversi documenti orientativi a sostegno di un’adeguata assistenza per il paziente; le autorità sanitarie nazionali (Agenzia Italiana del Farmaco) hanno definito un chiaro algoritmo di trattamento;

- i Livelli essenziali di assistenza 2017, che definiscono un pacchetto previdenziale nazionale obbligatorio da offrire ai residenti in ogni regione,55 hanno evidenziato i principali fattori di rischio che richiedono una valutazione della salute delle ossa;

- diverse regioni hanno adottato percorsi assistenziali (percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali [PDTA]) incentrati sulle fratture da fragilità;

Tuttavia, molte di queste raccomandazioni rimangono solo teoriche – aggiunge - e devono ancora essere implementate nella pratica. Di conseguenza, i pazienti italiani non ricevono un’assistenza ottimale e il sistema sanitario non trae vantaggio dai risparmi potenziali.

Tutte le parti interessate (inclusi operatori sanitari, dirigenti ospedalieri e autorità regionali e nazionali) – conclude - hanno la responsabilità di implementare le seguenti raccomandazioni strategiche a vantaggio dei loro pazienti. 
 
 
 
19 ottobre 2018
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