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Ass. Coscioni: “Bene decisione Corte Ue. Ora si armonizzino le legislazioni nazionali”
18 DIC -  “La Corte di Giustizia UE dichiara brevettabile la ricerca eseguita su un ovocita femminile con la seguente affermazione il solo fatto che un ovulo umano partenogeneticamente attivato inizia un processo di sviluppo non è sufficiente per essere considerato un embrione umano. Nella sua sentenza odierna, la Corte constata che, per poter essere classificato come un ‘embrione umano’, l'ovulo umano deve necessariamente avere la capacità intrinseca di svilupparsi in un essere umano. Dunque bene la decisione Corte Ue, ma ora si armonizzino le legislazioni nazionali”.
 
A chiederlo Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni e Michele De Luca, co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni e Direttore del Centro di Medicina Rigenerativa "Stefano Ferrari" all'Università di Modena e Reggio Emilia.
 
Gallo e De Luca poi aggiungono nel commentare la notizia proveniente dal Lussemburgo che “si
tratta della causa C-364/13, che ha visto la High Court of Justice del Regno Unito chiedere alla Corte Europea se gli ovuli umani non fecondati, stimolati a dividersi e svilupparsi attraverso la partenogenesi, e che, a differenza degli ovuli fecondati che contengono solo cellule pluripotenti e non sono in grado di svilupparsi in esseri umani, siano compresi nell’espressione ‘embrioni umani’, di cui alla direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche.
Oggi leggiamo il comunicato della Corte ma sarà sicuramente necessario leggere l'intero testo con le motivazioni. L’elemento isolato nel procedimento è l’ovocita attivato tramite partogenesi, su cui sono da escludersi le restrizioni alla brevettabilità derivanti dalla sentenza Brüstle dove la Corte si è trovata a dover sciogliere quale sia esattamente l’ambito di applicazione della direttiva 98/44/CE che all’art. 5 definisce non brevettabile il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo. Tale sentenza non vietava la ricerca sugli embrioni, ma determinava una restrizione alla brevettabilità, determinando di fatto il mancato investimento necessario per consentire che la ricerca potesse essere effettuata”.
 
“L’esigenza di armonizzare le discipline nazionali sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche è venuta alla luce dopo un lungo e travagliato percorso. Oggi sicuramente questa decisione è importante anche rispetto alla precedente sentenza emessa nel caso Brüstle che non vieta la ricerca sugli embrioni ma solo l'utilizzo per fini economici del brevetto. Questa decisione sicuramente favorisce gli investimenti nella ricerca anche se effettuata su parti del corpo umano, come un ovocita, che rende brevettabili gli obiettivi conseguiti in questo campo. Naturalmente saranno i ricercatori a valutare l'effettivo beneficio per lo spettro di potenzialità connesse, ma la sentenza di fatto mira a chiarire il fine della ricerca e a togliere i dubbi che troppo spesso sono stati sollevati a seguito della precedente sentenza Brüstle”.
18 dicembre 2014
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