Epatite C. Iss: “Italia modello per l’Europa e per il mondo nelle politiche sanitarie per il trattamento dell’infezione cronica”
Curare tutti i pazienti con i nuovi farmaci ad azione antivirale migliora lo stato di salute e risulta essere sostenibile. Questo il risultato dello studio condotto nell’ambito della Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie dell’Epatite viRale (PITER), coordinata dal Centro per la Salute Globale dell’Iss. Ricciardi: "II studio nostro può essere un utile strumento per raggiungere l’obiettivo dell’Oms di eliminare l’infezione da HCV entro il 2030".
25 LUG - Trattare tutti i pazienti con epatite cronica da virus dell’epatite C con i nuovi farmaci ad azione antivirale migliora lo stato di salute e risulta essere sostenibile. E’ questo il risultato dello studio “Modelling cost-effectiveness and health gains of a “universal” vs. “prioritized” HCV treatment policy in a real-life cohort” condotto nell’ambito della Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie dell’Epatite viRale (PITER), coordinata dal Centro per la Salute Globale dell’ISS in collaborazione con l’Associazione Italiana per lo studio del fegato (AISF), la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) e l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (ALTEMS).
Lo studio, che coinvolge circa 100 centri clinici distribuiti su tutto il territorio nazionale, viene pubblicato oggi sulla rivista dell’Associazione Americana
Hepatology per lo studio delle malattie del fegato.
“L’Italia rappresenta una peculiarità per quanto riguarda l’infezione da virus dell’epatite C – dichiara
Walter Ricciardi, Presidente dell’ISS - in quanto è uno dei paesi con maggior prevalenza dell’infezione in Europa. Per questo motivo, il nostro studio, che ha permesso di generalizzare i dati di costo beneficio a partire dai dati di pazienti arruolati nella coorte PITER senza nessuna discriminazione in termini socio-demografici e di assistenza sanitaria, fa dell’Italia un modello per l’Europa e per il mondo. Un utile strumento per la messa a punto di strategie di ampliamento dell’accesso ai farmaci anti epatite C e, dunque, per raggiungere l’obiettivo dell’OMS di eliminare l’infezione da HCV entro il 2030, con una strategia globale che prevede la riduzione del 65% delle morti correlate all’infezione da HCV e il trattamento di almeno l’80% degli individui con epatite cronica da HCV”.
“Considerati questi target e, parallelamente, le restrizioni all’uso dei farmaci ad azione antivirale in quasi in tutto il mondo a causa dei loro prezzi alti – afferma
Stefano Vella, Direttore del Centro per la Salute Globale dell’ISS e Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) - ci è sembrato di fondamentale importanza valutare quali sarebbero i benefici e i costi di un trattamento “universale” di tutti i pazienti e non solo dei pazienti 'prioritizzati', ovvero con malattia avanzata del fegato. Ebbene, i risultati dell’indagine supportano da un punto di vista scientifico la recente politica annunciata e messa in atto dall’AIFA, quella cioè di trattare tutti i pazienti con infezione cronica da HCV, proprio per gli importanti guadagni in termini di salute e per la parallela riduzione nel tempo dei costi sostenuti dal Servizio Sanitario Nazionale”.
I ricercatori hanno valutato il profilo di costo-efficacia della politica sanitaria “universale" attraverso un approccio di proiezione modellistica in 8.125 pazienti della coorte PITER generalizzati per un contesto europeo, applicando la media europea dei prezzi dei farmaci anti-epatite C e del costo della malattia epatica da virus dell’epatite C.
“Lo studio ha dimostrato - sottolinea
Loreta Kondili, ricercatore presso il Centro per la salute Globale dell’ISS e responsabile scientifico di PITER - che in entrambi i contesti (italiano ed europeo) il trattamento di tutti i pazienti con infezione cronica da HCV, anche in stadi di malattia lieve, consente benefici superiori in termini di salute, rispetto all’applicazione della politica di trattamento prioritizzato. I benefici proiettati negli anni dopo l’eliminazione del virus con la terapia antivirale, sin nelle fasi precoci del danno del fegato, sono stimati in casi evitati di pazienti con cirrosi del fegato e con tutte le conseguenti complicanze (quali scompenso della cirrosi, sviluppo di epatocarcinoma, bisogno di trapianto di fegato e morte a causa della malattia di fegato), nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti guariti, e nella riduzione dei costi sanitari delle cure in riferimento alle patologie HCV correlate”.
“E’ stato valutato – va avanti Kondili – il profilo costo/beneficio incrementale interpretabile come costo sostenuto per un anno di vita guadagnata in piena salute applicando la politica 'universale' versus quella 'prioritizzata'. Questo rapporto di costo/beneficio incrementale, varia tra € 8.775 (per lo scenario italiano) a € 19.541,75 (per lo scenario generalizzato europeo) per ogni anno di vita in buona salute guadagnata (Quality Adjusted Life Years - QALY), entrambe stime nettamente inferiori rispetto alla soglia di € 35.000 per QALY sotto la quale un intervento sanitario è considerato un corretto investimento in salute dall’Istituto di Eccellenza Clinica Londinese (NICE). Lo studio valuta e conclude che unitamente a un abbassamento progressivo dei prezzi dei farmaci antivirali, arrivando ad una soglia di circa 4.000€ a regime terapeutico, trattare tutti i pazienti indipendentemente dallo stadio del danno del fegato risulta essere una politica lungimirante e 'determinante' in quanto comporta maggiori benefici con minor costi per il Sistema Sanitario”.