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Farmacia. Intervista a tutto campo al presidente Mandelli sul futuro della professione: dalle società di capitali alle parafarmacie, fino al rinnovo del contratto
"La Federazione non è tra i firmatari dei contratti e può agire soltanto in termini di facilitatore nel superare i nodi delle trattative. Abbiamo aperto un tavolo di confronto sul rinnovo contrattuale con le rappresentanze sindacali,  auspichiamo una rapida chiusura". Sul fronte occupazione: "Con Farma Lavoro oltre 3.400 assunzioni, onoltre abbiamo ottenuto l’inserimento del farmacista tra i consulenti dei tribunali ". Quanto al percorso universitario, poi, "abbiamo proposto un'iscrizione libera con un successivo sbarramento sul merito". Poi l'invito alle parafarmacie: "Il tavolo di confronto resta aperto a tutti".
19 GIU - Si chiude un semestre particolarmente intenso per la professione, basti pensare al rapido procedere dei lavori del tavolo sulla Farmacia dei servizi istituito dal Ministero della salute. Ma anche caratterizzato da un dibattito e da un confronto serrati su alcuni punti focali, a cominciare dal rinnovo del contratto nazionale di lavoro delle farmacie e dalle difficoltà sul piano occupazionale. Tutti temi che vertono anche sul rapporto tra le componenti professionali. Opportuno, quindi, fare il punto con il Presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Andrea Mandelli.
 
Presidente Mandelli, vi occupate soltanto di titolari di farmacia e di farmacie?
Mi sembra un’accusa infondata. La rete delle farmacie di comunità oggi vede coinvolta la stragrande maggioranza degli iscritti agli Ordini, come sarebbe possibile non occuparsene?
In realtà tutto il progetto federale, e cioè la farmacia presidio polifunzionale che ospita professionisti in grado di erogare servizi cognitivi, è centrato sul ruolo professionale e i collaboratori sono di gran lunga la componente maggioritaria, non crede? Quando parliamo di standard di qualità e di accreditamento parliamo non di misure del bancone o di volumetrie dei locali: parliamo di competenze e abilità del farmacista che ci lavora, che diviene a quel punto il vero assett strategico del presidio. Nella mia relazione all’ultimo Consiglio Nazionale ho anche detto che un punto di forza del servizio farmaceutico è il rapporto con il cittadino e questo si regge sulle capacità di chi si confronta materialmente ogni giorno con il paziente: ancora una volta si tratta dei colleghi collaboratori. La nostra linea punta inevitabilmente ad accrescere anche il potere contrattuale del farmacista collaboratore proprio perché sarà sulle sue competenze professionali che si baserà sempre più l’attività della farmacia, e non credo di dovermi dilungare su questo aspetto. 
 
Si lamenta un intervento limitato sulle trattative per il rinnovo contrattuale e Sinasfa e Conasfa hanno anche detto in precedenza che forse sarebbe più semplice trattare con le società di capitali. Che cosa risponde?
La Federazione degli Ordini non è tra i firmatari dei contratti e può agire soltanto in termini di facilitatore nel superare i nodi delle trattative. Cosa che abbiamo sistematicamente proposto, ottenendo negli anni precedenti un garbato rifiuto. Oggi le cose sono cambiate e la Federazione ha aperto un tavolo di confronto sul rinnovo contrattuale con le rappresentanze sindacali. Sicuramente per qualcuno è poco, ma non so quale altra rappresentanza professionale, sanitaria o meno, abbia fatto di più in questo senso. Certamente le trattative non sono semplici, anche perché la condizione di fragilità economica è preoccupante e riguarda in particolare le farmacie di medie e piccole dimensioni con un sensibile aumento dei fallimenti. Per questo auspichiamo una rapida chiusura del rinnovo della Convenzione che porti a un miglioramento del quadro complessivo.
 
E le società di capitali? Sarebbero un datore di lavoro migliore?
Le rispondo sulla base della mia esperienza di presidente dell’Ordine di Milano, Lodi e Monza Brianza. A Milano è da tempo che abbiamo una società di capitali proprietaria di farmacie, le ex comunali, e le lamentele che ci vengono dagli iscritti che operano in quelle farmacie sono esattamente sovrapponibili a quelle dei loro colleghi delle private convenzionate: si può dire che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo. E anche in questo caso invito a guardare all’estero prima di dare giudizi affrettati: in Gran Bretagna non sono certo mancate criticità per i dipendenti delle grandi catene, puntualmente riportate dalla stampa e non solo quella professionale. Il punto è che in una situazione critica dal punto di vista economico le trattative non sono facili per nessuno in nessun settore. Anche nell’industria del farmaco abbiamo assistito in questi anni a pesanti ridimensionamenti, per esempio nell’informazione medico-scientifica, e nel Servizio sanitario retribuzione e assunzioni sono ferme da tempo. E, per inciso, anche sui temi centrali per i colleghi che operano nel SSN il dialogo è aperto fin dalla sperimentazione con il Ministero della salute della figura del Farmacista di dipartimento. La Federazione ha espresso altresì forte contrarietà per la tipologia di inquadramento contrattuale dei farmacisti che operano negli esercizi di vicinato di proprietà delle cooperative e dei capitali, che non sempre è coerente con il ruolo professionale svolto. Il sentimento di sfiducia e il timore di scarse prospettive sono, purtroppo, un fenomeno generalizzato, diretta conseguenza di una economia italiana stagnante se non peggio.
 
Quali azioni concrete può rivendicare la FOFI sul fronte dell’occupazione?
Con la Fondazione Cannavò abbiamo messo a punto un sistema – Farma Lavoro – per agevolare la ricerca e l’offerta su base nazionale. Un’operazione, anche di trasparenza, che non mi pare sia stata pensata per altre professioni, e che ogni mese registra un aumento dei risultati positivi per gli utenti. A fine maggio erano state pubblicate 9.704 inserzioni di ricerca di collaboratori e ne sono andate a buon fine 3445: numeri forse piccoli, ma reali. Ci siamo battuti per interrompere il fenomeno deleterio dei presunti tirocini rivolti a professionisti già abilitati e iscritti all’Ordine: un obbrobrio sul piano legale e deontologico. Cerchiamo costantemente di creare anche nuove possibilità: abbiamo recentemente ottenuto l’inserimento del farmacista tra i consulenti dei tribunali, siglando un accordo con il Consiglio Superiore della Magistratura. 
 
Vi si rinfaccia però di aver rinunciato a cercare nuovi sbocchi occupazionali. E’ vero?
Qui si confonde quello che possiamo e vogliamo proporre e quanto possiamo ottenere, che non dipende soltanto dall’azione federale. Recentemente la stessa AFEN, l’associazione dei farmacisti esperti in nutrizione, ha ricordato l’impegno della FOFI per aprire questo ambito alla nostra professione, ovviamente nel rispetto delle competenze del medico. E non dimentichiamo che nella precedente legislatura è stato presentato al Senato da me e dal vicepresidente Luigi D’Ambrosio Lettieri il Disegno di Legge “Disposizioni in materia di attività professionali del farmacista” dove venivano indicate tutti i possibili nuovi sbocchi professionali, a cominciare dalla presenza obbligatoria del farmacista in tutte le strutture sanitarie e assistenziali in cui si fa uso di farmaci. Temo che qualcuno pensi che basti formulare una proposta per vederla accettata e concretizzata in tempi brevi.
 
C’è anche malcontento sulla questione del percorso universitario: chiedete il numero programmato ma, si dice, non la riforma del Corso di Laurea. Non è una difesa della casta?
No, è puro buon senso. Quando la Federazione ha partecipato all’audizione in Commissione Cultura alla Camera, ha presentato un progetto organico: iscrizione libera al primo anno di corso e verifica successiva dei risultati ottenuti dallo studente. Uno sbarramento basato sul merito, quindi, cioè l’esatto opposto di una difesa della casta. Ma l’applicazione di questo sistema richiede tempo, e intanto già oggi abbiamo già più di 7000 farmacisti occupabili, quindi che non lavorano, e ogni anno si iscrivono agli Ordini circa 4000 laureati. Sono dati ufficiali del Ministero della Salute, non nostri, elaborati in coerenza con il progetto europeo 'Health Worforce Planning and Forecasting'.  Anche la stima più ottimistica sul fabbisogno di farmacisti in Italia, meno di 1500, presentata dalla Conferenza delle Regioni è ben lontana dal numero reale dei farmacisti che si laureano ogni anno. O si interviene subito programmando in via transitoria gli accessi a livello nazionale o si crea un esercito di disoccupati nei quali le società di capitali potranno tranquillamente reclutare a condizioni per loro sempre più vantaggiose. Quanto alla riforma del piano di studi sono anni che abbiamo avviato un percorso con la Conferenza dei Direttori di Dipartimento e stiamo studiando anche una revisione dell’esame di Stato, sempre per tenere conto delle nuove competenze che si richiedono al farmacista già oggi e sempre più in futuro. Non abbiamo la bacchetta magica, il nostro paese non spicca per velocità nelle riforme e si tratta di affrontare problemi che definire annosi è un eufemismo.
 
Torniamo alla farmacia di comunità e al contratto. Ci sono anche altri fattori da considerare, come l’oggettiva difficoltà per i collaboratori a soddisfare gli obblighi formativi, che non viene considerata nel contratto. 
In merito abbiamo ottenuto significativi risultati per rendere più semplice e produttivo il percorso di aggiornamento professionale. Abbiamo proposto e ottenuto il Dossier formativo del farmacista, abbiamo messo disposizione di corsi FAD gratuiti, potenziato l’autoformazione e ricavato un ruolo degli Ordini nel decidere il numero di crediti da attribuire ai fini degli obblighi formativi per alcune attività diverse dall’ECM tradizionale, quali il volontariato e la partecipazione agli eventi della professione. E non ci fermiamo qui: proporremo nella prossima riunione della Commissione Nazionale per la Formazione Continua una profonda rivisitazione del sistema. Purtroppo, malgrado l’offerta della Federazione di corsi gratuiti di alto livello, va segnalata una partecipazione degli iscritti ancora insufficiente. 

E veniamo al capitolo parafarmacie. L’accusa da parte di MNLF, FNPI e CULPI è la stessa: troppo vicini ai titolari di farmacia. 
Sì, l’accusa è la stessa, ma osservo che c’è una singolare contraddizione: da tempo i colleghi di queste organizzazioni ci rimproverano di aver “lasciato correre” sull’ingresso dei capitali in farmacia mentre i collaboratori ci rimproverano invece una chiusura eccessiva. Mi sembra quindi che si voglia costruire una convergenza “a prescindere”. La nostra posizione sugli esercizi di vicinato è chiara da sempre: sono il frutto di una liberalizzazione studiata apparentemente per favorire il cittadino, ma in realtà avendo in mente le necessità di altri attori economici, ben diversi dai singoli farmacisti. Tanto che fu preceduta da raccolte di firme, pagine pubblicitarie sui grandi quotidiani e altre iniziative consimili da parte di gruppi della GDO. E, del resto, è evidente che se poi tutto il business - e mi scuso se uso questo termine per brevità - si gioca sul prezzo e sulla prossimità a chi fa la spesa, siamo di fronte a un modello di attività in cui il singolo professionista ha ben poche carte da giocare. Non è un caso, e non lo diciamo da oggi, che in nessun paese europeo ci sia un istituto analogo.
 
Dai tempi della Legge Bersani la situazione è cambiata. Gli esercizi di vicinato hanno ottenuto l’ampliamento alla galenica officinale, ai farmaci veterinari soggetti a prescrizione…
Certamente, e sono ampliamenti dell’attività a cui la Federazione, voglio sottolinearlo, non si è opposta. Ma non è cambiato nulla perché il drive rimane lo stesso: concorrenza sul prezzo e grandi volumi di vendita sono la condizione necessaria, che però non è alla portata del singolo professionista nel piccolo esercizio. E’ un dato che emerge anche dalle analisi di istituti indipendenti: IQvia, per esempio, riporta per il periodo marzo 2017-marzo 2018 un fatturato medio dei corner della GDO (farmaco in libera vendita e prodotti salutistici) superiore di quasi quattro volte a quello delle farmacie e più di 10 volte superiore a quello medio delle parafarmacie, mentre nel 2016 attestava un fatturato globale praticamente equivalente tra i 360 corner e gli oltre 4346 esercizi di vicinato censiti quell’anno. Sbaglierò, ma mi sembra difficile su queste basi negare che una crisi vi sia. Non si spiegherebbe altrimenti la richiesta di ulteriori ampliamenti della sfera di attività degli esercizi di vicinato: come la fascia C soggetta a prescrizione e la farmacia non convenzionata. E difatti, in seno al Tavolo tematico che abbiamo promosso, questa situazione critica è stata rappresentata con chiarezza. Se MNLF e le altre organizzazioni che hanno rifiutato di partecipare ai lavori del Tavolo avevano dati differenti era l’occasione giusta per presentarli e discuterne.

Queste organizzazioni hanno rifiutato di partecipare al Tavolo che avete organizzato, non sarebbe il caso di recuperare un confronto?
Intanto va ricordato che non solo c’è stato il rifiuto a partecipare, peraltro affidato alle dichiarazioni di un legale, ma anche una delegittimazione di questa iniziativa e della Federazione, culminata nella diffida a proseguire i lavori: l’interlocutore vero, ci è stato detto, è la politica. E noi abbiamo ribadito – sempre – che al Tavolo sarebbe stato possibile unirsi in qualsiasi momento, non per condividere una posizione precostituita da altri ma per confrontarsi e cercare una soluzione possibile da presentare al decisore politico. Gli incontri in streaming, le contrapposizioni pubbliche a colpi di slogan sono un’altra partita che riteniamo non sia producente per nessuno e non contribuisce ad affrontare questa materia con la dovuta serenità e spirito costruttivo. C’è da trovare una soluzione a una crisi che sta danneggiando i colleghi che hanno creduto in questo modello. E dobbiamo preoccuparci dei colleghi titolari di sola parafarmacia, non certo dei fondi di investimento che le stanno comprando e nemmeno – sia chiaro - dei tantissimi titolari di farmacia che hanno usato gli esercizi commerciali per fare concorrenza ai vicini.
 
Ritorna spesso, nelle critiche rivolte alla FOFI, il tema della rappresentatività delle organizzazioni sindacali dei professionisti. Perché non lo affrontate?
Visto che non esiste nessuna legge sulla rappresentatività sindacale eccezion fatta per il Pubblico impiego, mi sembra lunare che la Federazione degli Ordini si metta a improvvisare regole che suonerebbero, queste sì, come una sorta di ostracismo. Possiamo affrontare questo tema in un solo modo: proponendo sedi di confronto aperte a tutti indistintamente e senza barriere all’ingresso.

Passiamo al tema dell’abusivismo professionale. Ai cosiddetti camici neri, o azzurri che siano, va vietata la dispensazione di qualsiasi farmaco? 
E’ già vietata da sempre, e le segnalazioni che giungono agli Ordini provinciali, peraltro scarse, vengono sempre prese in considerazione come prescritto. Nel nuovo Codice deontologico, inoltre, è stato previsto espressamente che il farmacista sia riconoscibile anche attraverso un tesserino esibito sul camice. In proposito conosco bene l’attenzione e l’impegno profuso dagli Ordini provinciali per prevenire e contrastare un fenomeno che, ancorché marginale, riteniamo gravemente lesivo anche della dignità professionale. 

E la ricetta elettronica anche per i farmaci non rimborsati dal servizio sanitario servirebbe a ridurre la dispensazione dell’etico senza prescrizione?
Questo ampliamento, e soprattutto l’applicazione del Dossier farmaceutico all’interno del FSE, potrebbe contribuire a ridurre i casi in cui il farmacista si trova ad anticipare il farmaco in attesa della prescrizione. E voglio ricordare che questa via è stata indicata a suo tempo dalla Federazione e risolverebbe molti problemi oltre a questo. Peraltro eviterei di spacciare la dispensazione senza ricetta come un’abitudine generalizzata. Ricordo che qualche mese fa un collega di Udine fu oggetto di un’aggressione per aver rifiutato un antibiotico richiesto senza prescrizione. E posso affermare che non è certo un caso isolato: sono fortunatamente una maggioranza i farmacisti che operano correttamente e a loro va il mio ringraziamento.

Insomma, rigetta l’accusa di non tutelare gli interessi di tutti gli iscritti?
Rispondo con un’altra domanda. Sono colleghi iscritti all’Ordine anche quei titolari di farmacia che hanno sfruttato un’altra opportunità offerta dalla stagione delle liberalizzazioni: la possibilità di operare come grossisti. Quali guasti si siano prodotti per la distribuzione dei farmaci sul territorio nazionale lo sanno bene tutti i colleghi che ogni giorno hanno a che fare con specialità mancanti o indisponibili. Abbiamo sempre sostenuto con forza che questa norma era sbagliata e che andava ritirata. Avremmo invece dovuto tutelare questa attività economica per il solo fatto che viene condotta da farmacisti? 
Possiamo discutere a lungo, ma è difficile nascondere il fatto che le liberalizzazioni del 2006 non sono nate sotto l’egida del Ministero della Salute, ma di quello dello Sviluppo Economico e mi sembra evidente che i temi della professione, la tutela della salute, il far parte del Servizio sanitario nazionale non fossero proprio all’ordine del giorno in quella sede. In proposito la tensione politica tra i ministri Bersani e Turco prima e tra Guidi e Lorenzin è emblematica! E il primo dovere degli Ordini, tutti, è garantire la professionalità e l’indipendenza degli iscritti e tutelare i cittadini che a loro si rivolgono. Nulla di più e nulla di meno. 
19 giugno 2019
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