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Covid. Sorveglianza territoriale e salute pubblica: dall’Iss un focus sugli aspetti etico-giuridici
Lo scenario plausibile di una fase post epidemica potrebbe essere caratterizzato da un rischio infettivo che si manifesta in casi isolati o limitati focolai. Questo richiederebbe il mantenimento di misure di monitoraggio e sorveglianza della circolazione di Sars-CoV-2 per un lungo periodo, ma consentirebbe l’abolizione del confinamento generalizzato della popolazione grazie a specifiche attività di controllo.  Nel documento vengono approfonditi gli aspetti etici e giuridici di questa attività di sorveglianza, anche rispetto alla protezione dei dati personali. IL RAPPORTO
04 GIU - "Nel nostro Paese si è assistito a una rapida diffusione del virus Sars-CoV-2, con due distinti pattern epidemiologici: un’esplosiva espansione in alcune province del Nord e una diffusione molto più limitata nelle restanti aree, dove l’epidemia ha interessato piccoli paesi o comunità chiuse. Lo scenario plausibile di una fase post epidemica potrebbe essere caratterizzato da un rischio infettivo ancora esistente che si manifesta in casi isolati o limitati focolai in comunità ristrette. Un simile scenario richiederebbe il mantenimento di misure di monitoraggio e sorveglianza della circolazione di Sars-CoV-2 per un lungo periodo, ma consentirebbe l’abolizione del confinamento generalizzato della popolazione, con specifiche persistenti attività di sorveglianza e controllo".
 
Così l'Istituto superiore di sanità nel nuovo rapporto (il n. 34) "Sorveglianza territoriale e tutela della salute pubblica: alcuni aspetti etico-giuridici". Nel documento vengono approfonditi non solo i ruoli dello stesso Istituto e dei medici di famiglia sul territorio, ma anche gli aspetti etici e giuridici riguardanti l'attività di sorveglianza, monitoraggio e protezione dei dati personali.
 
Nel rapporto si rimarca come in situazioni emergenziali, e qualora strettamente necessario per la tutela della salute collettiva, "le misure di controllo possono imporre restrizioni al singolo individuo, tracciando un nuovo e temporaneo confine alla sua libertà, sufficiente a risultare garanzia effettiva di tutela per la popolazione".
 
"Nelle diverse fasi dell’emergenza è stato necessario raccogliere e utilizzare dati personali dei cittadini, sollevando questioni etiche e giuridiche rilevanti, tra cui la necessità di garantire che l’impiego di tali dati restasse confinato alle finalità per cui erano state raccolti - si spiega -. La sorveglianza territoriale e l’ingente intromissione nella sfera personale degli individui che, nel caso di alcune proposte tecnologiche, può tradursi anche nel tracciamento degli spostamenti fisici quotidiani, investono di ampia responsabilità le istituzioni chiamate a rappresentare un riferimento di affidabilità e competenza".
 
L a fiducia nelle istituzioni da parte dei membri della comunità gioca un ruolo fondamentale e "costituisce la premessa fondamentale per raggiungere un livello adeguato di aderenza alle disposizioni emanate dai decisori politici. È di cruciale rilevanza etica che il rispetto verso i diritti delle singole persone in quanto tali e della collettività in quanto insieme di individui, sia garantito anche e soprattutto nel contesto emergenziale, dove le criticità non rimangono mai limitate agli aspetti sanitari".
 
In questo contesto l'Istituto superiore di sanità ha svolto un ruolo non solo di sorveglianza, ma anche di formazione con l'attivazione di diversi corsi Fad. L'altro protagonista è stato il medico di famiglia, "il primo contatto tra il cittadino ed il Ssn ed è dunque un elemento fondamentale della sorveglianza sul territorio, soprattutto per l’identificazione tempestiva dei casi".
 
In assenza di un vaccino preventivo, "l’unica strategia attualmente disponibile per il controllo dell’infezione è la pronta identificazione dei soggetti infetti e il loro stretto isolamento per almeno due settimane dall’inizio dei sintomi (o dalla raccolta del campione positivo), accompagnato dalla ricerca attiva dei contatti avuti durante il periodo di contagiosità (tracciatura dei contatti)".
 
"Nel contesto di Covid-19 - si spiega nel rapporto - il contact tracing consiste nell’identificazione e gestione delle persone che possono essere state esposte ad un caso probabile o confermato di malattia nelle 48 ore precedenti l'insorgenza dei sintomi nel caso (o precedenti la raccolta del campione positivo se il caso è asintomatico), fino al momento della diagnosi e dell’isolamento del caso, per evitare che queste persone (i contatti) che sono ad alto rischio di avere acquisito l’infezione, possano a loro volta trasmettere l’infezione".
 
Visto che la trasmissione di Covid-19 può verificarsi anche durante la fase pre-sintomatica della malattia, o da persone che rimangono asintomatiche, "è importante identificare i contatti stretti molto rapidamente e assicurarsi che osservino la quarantena per il periodo di incubazione della malattia".
 
Quanto all'utilizzo di App, quali Immuni, nel documento l'Iss sottolinea come il ricorso a applicazioni digitali "può facilitare la ricerca dei contatti ma non sostituiscono il contact tracing tradizionale effettuato dalle Asl". Inoltre, "nell’implementazione di sistemi di tracciamento è necessario che sia sempre garantito un adeguato bilanciamento tra l’efficacia epidemiologica e il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, oltre che la sicurezza di tutti gli aspetti riguardanti la gestione del dato". 
 
Sotto l'aspetto giuridico, le nuove disposizioni introdotte negli ultimi mesi hanno in parte integrato e in parte modificato il sistema della protezione dei dati, "al fine di bilanciare il rispetto della protezione degli stessi con le esigenze sovraordinate e improcrastinabili di tutela della salute pubblica. I principi stabiliti dal Gdpr agli artt. 6, 9 e 23, possono di per sé legittimare non soltanto il trattamento dei dati relativi a persone infette, ma anche le attività di ricerca della catena di contagio intraprese a vari livelli, dal medico di famiglia alle strutture ospedaliere o altre strutture sanitarie coinvolte".
 
In conclusione si sottolinea come solo tramite un lavoro sinergico tra diversi professionisti di riferimento sia possibile: "i) individuare i rischi e i benefici associati ai singoli interventi proposti e giustificare i rischi in relazione ai potenziali benefici; ii) verificare l’omogeneità dell’applicazione dei programmi alla popolazione e, nel caso in cui siano selezionati sottogruppi di popolazione, escludere eventuali profili stigmatizzanti; iii) verificare che il processo di consenso informato sia previsto, realizzabile, appropriato e sufficiente; iv) individuare le implicazioni sociali delle iniziative e le potenziali conseguenze sia a breve che a lungo termine; v) comunicare in maniera tempestiva, trasparente e comprensibile a tutti".
 
Vai allo speciale con tutti i Rapporti Covid dell'Iss.
04 giugno 2020
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