Mentre l’Europa investe sempre di più nella sanità pubblica, l’Italia continua a restare indietro. È quanto emerge dalla nuova edizione del report Istat ‘Noi Italia 2025’. Dai più recenti dati comparativi: nel 2022, la spesa sanitaria pubblica del nostro Paese si è attestata a 130,3 miliardi di euro, pari al 6,7% del Pil. Una cifra che si traduce in 2.212 euro annui per abitante. A parità di potere di acquisto, a fronte di 3.526 dollari per abitante spesi in Italia nel 2022, la Cechia ne spende circa 3.947; la Finlandia si attesta intorno ai 4.661 dollari per abitante; Belgio, Irlanda, Danimarca e Francia superano i 5 mila dollari per abitante; Austria e Lussemburgo sfiorano i 6 mila dollari per abitante; Paesi Bassi e Svezia superano di poco i 6 mila dollari di spesa, mentre la Germania, con i suoi 7.403 dollari per abitante, si conferma al primo posto in Europa per spesa pro capite.
Quinti in Europa per la spesa privata, ospedali al rallentatore
Nel 2023, un quarto della spesa sanitaria complessiva italiana proviene ormai dalle tasche dei cittadini: la quota di spesa privata raggiunge il 26% (nello report dell'anno scorso si era a quota 24,1%), posizionando l’Italia al quinto posto nell’UE per contributo delle famiglie. Grecia, Portogallo e Ungheria registrano valori ancora superiori, ma il dato resta sintomatico di un servizio pubblico sotto pressione.
Anche l’assistenza ospedaliera continua a soffrire. I posti letto sono appena 3 ogni mille abitanti, tra i più bassi in Europa, con forti squilibri territoriali: la Campania e la Calabria restano sotto i 2,6 letti per mille abitanti, mentre solo la Provincia autonoma di Trento e l’Emilia-Romagna superano la soglia dei 3,5. L’attività ospedaliera non ha ancora recuperato i livelli prepandemici, soprattutto per le malattie cardiovascolari e oncologiche.
Mobilità sanitaria e diseguaglianze territoriali
Segnali di criticità arrivano anche dai dati sulla mobilità ospedaliera: nel 2023 l’emigrazione sanitaria interregionale è tornata a crescere, con flussi in uscita marcati dal Centro-sud. Solo Lazio, Sicilia e Abruzzo non hanno ancora raggiunto i livelli del 2019. Le regioni del Centro-nord si confermano le più attrattive, amplificando il divario assistenziale tra Nord e Sud.
Mortalità evitabile: Sud ancora penalizzato
Il tasso di mortalità evitabile, che misura i decessi prevenibili sotto i 75 anni, resta un campanello d’allarme: 17,6 morti ogni 10 mila abitanti nel 2022. Ma il dato si aggrava nel Mezzogiorno, che arriva a quota 20, contro i 15,6 del Nord-est. La componente prevenibile, fortemente legata a stili di vita e salute pubblica, incide in modo particolare sugli uomini (23,2 ogni 10 mila contro 12,5 delle donne).
Anche la mortalità infantile riflette il divario: 2,5 decessi ogni mille nati vivi a livello nazionale, che salgono a 3,0 nel Sud. E se la mortalità per tumori scende (23,1 ogni 10 mila abitanti), quella per malattie cardiovascolari cresce (27,0), con un picco nel Mezzogiorno (31,2).
Stili di vita e prevenzione: ancora troppo poco
Fumo, alcol e obesità rappresentano un’ulteriore sfida. Il 19,3% della popolazione è fumatrice, il 15,4% consuma alcol a rischio, e l’11,8% è obeso, con prevalenze più alte nel Sud. Mentre nel Centro-nord si concentra la quota maggiore di consumo pericoloso di alcol (17,1%), nel Mezzogiorno spicca quella delle persone obese (13,2%).