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Ocse: un monitoraggio accurato della spesa sanitaria è fondamentale per orientare le scelte politiche. Ma l’Italia resta indietro
Pubblicato il rapporto OCSE su come 13 Paesi hanno istituzionalizzato la rilevazione della spesa sanitaria. Governance, qualità dei dati e uso politico sono le chiavi del successo. Ma l’Italia? Fa il minimo sindacale e rischia di restare tagliata fuori dal confronto internazionale.
13 GIU -

Un monitoraggio completo della spesa sanitaria è essenziale per valutare le prestazioni dei sistemi sanitari e supportare processi decisionali basati sull'evidenza. Per questo motivo, quasi tutti i paesi OCSE producono dati annuali sulla spesa sanitaria e sul finanziamento basati su un quadro contabile internazionale: il Sistema dei Conti Sanitari. Ma mentre molti Paesi dell’OCSE hanno trasformato la produzione dei conti sanitari in uno strumento strategico di governo del sistema, in Italia ci si limita a “mandare i dati a Bruxelles” per ottemperare agli obblighi europei. È quanto emerge con chiarezza dall’ultimo rapporto dell’OCSE Best Practice in Institutionalising Health Accounts, uno studio che mette a confronto le esperienze di 13 Paesi avanzati nella raccolta, elaborazione e utilizzo dei dati di spesa sanitaria secondo il modello internazionale SHA 2011.

Un documento che, pur senza stilare classifiche, mostra chiaramente dove stanno i più virtuosi e dove, invece, si annidano ritardi strutturali. E purtroppo, l’Italia figura tra i Paesi che adempiono agli obblighi minimi, senza sviluppare strumenti nazionali propri o strategie di disseminazione e utilizzo politico dei dati.

Cosa fanno gli altri (e l’Italia no)
Il quadro è chiaro. Paesi come Germania, Canada, Australia e Francia non si limitano a compilare tabelle per l’OCSE o Eurostat, ma producono veri e propri sistemi di contabilità sanitaria, spesso con versioni nazionali parallele a quella internazionale, e soprattutto con capacità analitiche avanzate: disaggregazione per età, genere, malattie, regioni, analisi della spesa per gruppi vulnerabili, e utilizzo diretto dei dati nei processi decisionali.

In Germania, ad esempio, esiste una legge federale che impone la produzione regolare di conti sanitari e assegna compiti specifici a ogni ente coinvolto. In Francia, i “Comptes de la Santé” sono parte integrante del dibattito politico annuale sulla legge di finanziamento della Sécurité Sociale. In Austria, i dati OCSE sono strumento di monitoraggio degli obiettivi di spesa vincolanti tra Stato e Länder.

E l’Italia? Secondo il rapporto, fornisce dati limitati, solo su alcune classificazioni (finanziamenti, servizi, provider), e non adotta una strategia di comunicazione o valorizzazione dei dati. I conti sanitari italiani non sono usati nel dibattito pubblico, né alimentano analisi strutturate o scenari di policy. Inoltre, non esistono versioni nazionali autonome né approfondimenti su specifici settori come la prevenzione, la long-term care o le spese private.

Manca la governance, ma anche la volontà politica
Uno dei temi chiave del rapporto OCSE è la governance della produzione dei conti. I Paesi che funzionano meglio hanno un’agenzia chiara e stabile (ministero, istituto di statistica, agenzia indipendente) con un mandato definito, spesso legale, e con risorse dedicate. In Italia, invece, la responsabilità è poco visibile, dispersa e priva di mandato specifico. Il risultato è una produzione tecnica adempitiva, scollegata dalla politica e incapace di generare impatto.

Il costo dell’inerzia: niente dati, niente riforme
Nel momento in cui la sanità italiana si trova ad affrontare la sfida della sostenibilità, dell’equità e del post-PNRR, non disporre di conti sanitari strutturati e pienamente utilizzabili è un grave limite. Senza una mappatura precisa della spesa – per territorio, tipologia, target – diventa difficile riformare, allocare risorse, misurare risultati. E mentre gli altri Paesi usano i dati per correggere la rotta, l’Italia naviga a vista.

L’appello implicito dell’OCSE: serve una svolta
Il rapporto non punta il dito, ma offre una “cassetta degli attrezzi” per chi voglia mettersi al passo: investire in risorse umane e informatiche, costruire alleanze tra istituzioni, formalizzare responsabilità, migliorare l’accesso ai dati, coinvolgere stakeholder e rafforzare la comunicazione pubblica. Non è una questione tecnica, ma di volontà politica.

Se l’Italia vuole sedere davvero al tavolo delle democrazie avanzate della salute, è tempo di superare l’approccio minimalista e fare dei conti sanitari uno strumento di governo, di trasparenza e di responsabilità pubblica.

L.F.

13 giugno 2025
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