In un periodo di crescente pressione sul Sistema Sanitario Nazionale (SSN), i farmaci equivalenti si confermano un elemento fondamentale per garantire accessibilità alle cure e sostenibilità economica. Ma se il sistema industriale legato a questo settore non potrà continuare a vivere, salassato da norme sempre più pesanti per le aziende che producono medicinali equivalenti, a pagarne le conseguenze saranno i pazienti italiani, che non avranno più accesso ad alcuni, forse a molti, prodotti essenziali. E’ quanto emerso nella nuova puntata di ‘Health Conversation’ realizzata con il contributo non condizionante di Egualia. L’ultimo di tre appuntamenti in cui esperti del settore e rappresentanti delle istituzioni hanno analizzato le sfide e le opportunità legate ai farmaci biosimilari e ai farmaci equivalenti.
Secondo l’Osservatorio Nomisma, se nel 2023 tutti i farmaci equivalenti fossero stati venduti ai prezzi dei brand originatori fuori brevetto, la spesa farmaceutica sarebbe aumentata di 460 milioni di euro. Dal 2012, l’adozione di farmaci equivalenti ha generato un risparmio di 6,2 miliardi di euro, un dato che sottolinea la loro importanza economica. Tuttavia, il settore affronta gravi difficoltà: tra il 2018 e il 2024, il numero di farmaci a rischio carenza è più che raddoppiato, passando da 1.600 a 3.700 prodotti, secondo l'AIFA. Le cause principali delle carenze risiedono nella cessazione della produzione (50%) e in problemi produttivi (25%). L’aumento dei costi di produzione post-pandemia, combinato con prezzi fissi e riduzioni dei margini, sta mettendo duramente in crisi la sostenibilità del comparto.
La riduzione della disponibilità di farmaci equivalenti penalizza soprattutto le fasce di popolazione più vulnerabili, con impatti gravi sulla cura delle malattie croniche e sulla concorrenza nel mercato farmaceutico. Secondo Stefano Collatina, presidente di Egualia, il problema richiede una visione sistemica e un intervento immediato per garantire la sopravvivenza di un settore strategico per l’economia italiana, prima che sia troppo tardi. “I farmaci equivalenti – ha affermato - sono per loro stessa dimensione a basso prezzo. In questi ultimi anni abbiamo avuto un incremento di tutti i costi dei prodotti, non solo degli ingredienti attivi, ma anche dei contenitori, del trasporto e dell'energia, che hanno progressivamente ridotto il margine e quindi la sostenibilità di molte produzioni. Il problema è stato che, finita la pandemia, la situazione non è tornata ai livelli precedenti, quindi il settore ha avuto una compressione dei margini che è diventata strutturale. Tutto ciò ha portato a problemi di sostenibilità delle produzioni, cui abbiamo cercato di ovviare con interventi di ottimizzazione e riorganizzazione. Ma i numeri relativi alle carenze sono l'indicatore del fatto che qualcosa è andato storto. Di conseguenza stiamo assistendo a un numero progressivo di farmaci che escono dal mercato e in tali casi anche di aziende che non competono più. Per i prodotti a gara negli ospedali si assiste a un numero sempre minore di aziende che competono. E se facessimo un esercizio di horizon scanning sulle prossime scadenze brevettuali, anche questo ci darebbe delle informazioni inquietanti. Sto parlando di biosimilari in sviluppo: si sta osservando, già da oggi, una riduzione dei prodotti che arriveranno nella disponibilità di clinici e pazienti e questo perché le garanzie del mercato stanno venendo meno. Quindi non solo abbiamo e avremo delle carenze, ma abbiamo anche delle aziende che neanche cominciano ad entrare nel grande gioco della concorrenza. Quello che serve è una politica industriale”.
La domanda a cui ha risposto molto chiaramente il sen. Massimo Garavaglia, presidente della 6° commissione Finanze e tesoro di palazzo Madama, è se la legge di bilancio risponda adeguatamente a queste sfide. “Mi verrebbe da dire sinteticamente no - afferma - ci sono luci e ombre. Positivo il fatto che si incrementi il Fondo Sanitario Nazionale anche in modo importante, in prospettiva. Ricordiamo che c'è il nuovo patto europeo che prevede che la spesa corrente non possa crescere di più dell'1,5% l'anno. Tenendo conto che ci sono delle componenti, che crescono automaticamente, vedi le pressioni per la piramide demografica, avere chiaro che la sanità è invece uno dei pochi punti da mantenere, quindi da far crescere, è un fatto positivo. Quindi questo è un bene. Non è un bene, mi verrebbe da dire per una mancanza di visione di insieme, che vengano fatti in manovra degli interventi spot. E sono stati fatti degli errori. Io li chiamo errori, tant'è che abbiamo anche fatto delle proposte per correggerli. Uno è sicuramente l'articolo 57, che è concettualmente sbagliato. Un altro errore da correggere è stato fatto al Senato, nonostante personalmente abbia fatto di tutto per evitarlo: riguarda le regole del payback, dove è stato messo sostanzialmente un premio alle regioni che sforano, ed è evidente che se metti un premio alle regioni che sforano, aumenti lo sforamento. E siccome poi lo sforamento lo pagano le aziende e le regioni, è una cosa concettualmente sbagliata”.
Quali misure sarebbero necessarie per garantire una sostenibilità al sistema industriale? “Credo che vadano fatte cose a breve, per evitare degli errori evidenti – afferma Collatina - ma con l'idea di avere un'ottica di percorso, perché altrimenti continuiamo a girare in circolo, come abbiamo fatto finora. Il vantaggio è che prima le manovre tagliavano fondi alla sanità, oggi le mettono, quindi questa è una gran bella notizia. Però il diavolo è nei dettagli. Il tetto della spesa farmaceutica diretta sfora ogni anno in maniera progressivamente crescente. Abbiamo cominciato nel 2015. quando questa tassa occulta valeva circa il 9% del fatturato delle aziende nell'ospedale pubblico, oggi è arrivata quasi al 18%: significa che oltre a tutti quegli elementi di costo che ho citato prima, si deve togliere un altro 18% dai margini di prodotti che vengono distribuiti in ospedale. Per quanto riguarda gli equivalenti, io penso che essendo noi che stimoliamo la concorrenza, penalizzarci è doppiamente sbagliato”.
“Per la spesa convenzionata – prosegue - quello che avevamo chiesto era eliminare il payback dell’1,83%, perché era semplice. Definiamo come farlo, se non lo vogliamo levare su tutti, eliminiamolo sui prodotti a basso prezzo, perché così si consente di mantenerli sul mercato. Noi abbiamo dei prodotti che costano un euro e mezzo per 30 compresse, ma trattano 4 milioni di diabetici. Quindi se non si prende in considerazione il fatto che tutto questo rischia di mettere in difficoltà il paziente, è inutile che parliamo di punti percentuali. Dobbiamo parlare della sofferenza dei pazienti”.
Ma quali potrebbero essere le azioni immediate che il governo può intraprendere per migliorare l'accesso ai farmaci equivalenti? “Sono due – spiega Garavaglia – intervenire con campagne di informazione soprattutto in alcune regioni che paradossalmente sono quelle che hanno più bisogno di avere farmaci a basso prezzo, come quelle del Sud. La prima cosa da fare è una azione per far conoscere in profondità l'importanza del farmaco equivalente, mirata soprattutto nelle aree del paese dove se ne consumano meno, rivolta al pubblico e agli operatori. La seconda cosa da fare riguarda il meccanismo delle gare. Abbiamo proposto un emendamento alla legge di bilancio della Camera e mi auguro che vada in porto, che si riferisce all'accordo quadro. Come funzionano le gare oggi? Le gare oggi vanno al massimo ribasso. Qual è il problema? È che se viene fatta un'offerta fuori mercato, tu sei obbligato ad assegnarla all'offerente. Se poi l'offerente non ha il prodotto, o va in carenza, sei obbligato ad acquistare sul mercato, strapagando il farmaco. Tutto questo è di facile soluzione: anziché andare al massimo ribasso, si fa un accordo quadro, dove si assegnano quote ai diversi offerenti in funzione del prezzo. Sembra semplice, è già previsto nel codice degli appalti, ma va fatta una norma, altrimenti la Corte dei conti va e ammonisce il funzionario che ha fatto la gara con l'accordo quadro, anziché il massimo ribasso. Mi auguro che la norma sia approvata”.
“L'accordo quadro già esiste per i biosimilari – interviene Collatina - quindi non c'è neanche il rischio di intraprendere una strada che non si conosce. Funziona. L'Italia, paradossalmente, con i biosimilari, è il paese che ha la maggiore penetrazione europea. Ed è dovuto al fatto che la governance dell'utilizzo dei biosimilari è più condivisa in seno agli ospedali con gli specialisti che a quel punto prescrivono al paziente il farmaco biosimilare”.
Quanto all’art. 57 della Legge di Bilancio, ai commi 1 e 2, esso prevede il trasferimento della quota percentuale dello 0,65% sul prezzo di vendita al pubblico dei medicinali di classe A dalle aziende farmaceutiche ai grossisti. “E’ un articolo che, modificando le quote di spettanza, ha diversi effetti negativi – spiega Collatina - innanzitutto cambia le regole del mercato, i prezzi dei farmaci al pubblico vengono negoziati in AIFA, e quindi se tu mi cambi le quote di spettanza mi cambi il prezzo. Tagliando i profitti riduce la possibilità di investimenti e di crescita industriale, continua a mandare un segnale a chi deve investire nel nostro paese, che forse non è esattamente il paese da scegliere. L'aspetto quantitativo è quanto vale questa norma: per noi vale circa 110 milioni di euro di penalizzazioni”.
“È molto semplicemente un errore – interviene Garavaglia - abbiamo proposto di correggerlo: cancellare questo articolo sarebbe la cosa più logica. E’ una norma sbagliata perché penalizza chi rischia e investe e peggiora regole già penalizzanti per il settore, non tenendo conto che è uno dei pochi dove l'Italia va bene. E’ tutto sbagliato”.
“Non siamo più in grado di assorbire – conclude il presidente Egualia - abbiamo problemi rilevanti e una volta che perdiamo delle produzioni, per rimetterle in piedi ci vogliono anni. Ricordiamoci che eravamo già in difficoltà quando il sistema andò in crisi per la produzione di mascherine che sono dei pezzi di stoffa. Si riuscì a riconvertire delle produzioni industriali nell'anno stesso della pandemia. Per un farmaco non funziona assolutamente così. Se si vuole riavviare una produzione, servono tre anni, con conseguenze dirette sulla salute dei pazienti. Per questo, si deve intervenire tempestivamente per evitare una crisi irreversibile”.
Barbara Di Chiara