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Malattie intestinali. “Restaurare” l’intestino grazie al trapianto di microbiota: una realtà sempre più concreta
La medicina di precisione e l’intelligenza artificiale rappresentano la nuova frontiera per l’identificazione di ‘super-donatori’ da cui partire per massimizzare la riuscita del trapianto fecale. Gli studi sono ancora agli inizi e i risultati sono promettenti.  Ma per la Società Italiana di Farmacologia non mancano le questioni da chiarire
17 FEB -

Personalizzare l’approccio affinché la terapia sia davvero cucita su misura in base alle diverse patologie e al singolo paziente. È questo il principale orizzonte della ricerca quando si parla di trapianto di microbiota fecale (Fecal Microbiota Transplantation - FMT), pratica medica finalizzata a ristabilire una condizione di simbiosi fra microbiota ed ospite.

Questa tecnica, in particolare, consiste nell’isolare e purificare il microbiota del donatore sano a partire dalle sue feci, per poi trasferirlo al paziente al fine di correggere la condizione di disbiosi di cui è affetto (alterazione del microbiota). Se oggi questo tipo di trapianto è approvato solo per la terapia dell’infezione da Clostridium difficile (batterio altamente resistente all’antibioticoterapia), sono in corso numerosi studi per la valutazione della sua efficacia in un’ampia gamma di patologie che va ben oltre l’area della gastroenterologia.

A puntare i riflettori sulle nuove frontiere nel trattamento delle patologie intestinali è la Società Italiana di Farmacologia (SIF) in occasione del Convegno Monotematico “Nuove strategie terapeutiche per il trattamento delle patologie algiche intestinali”, che si chiude oggi a Firenze.

Nuovi studi, nuove opportunità “I risultati, sebbene preliminari, degli studi condotti sino ad oggi suggeriscono una possibile utilità del trapianto di microbiota fecale nelle infezioni multi-resistenti, nel caso di malattie gastrointestinali, disturbi metabolici, patologie neurologiche e tumori” afferma il Prof. Lorenzo Di Cesare Mannelli dell’Università di Firenze

In particolare, per quanto riguarda il trattamento delle patologie intestinali e del relativo dolore viscerale, il trapianto di microbiota emerge come un utile strumento sia per trattare la malattia che per ridurre il dolore, bersagli difficilmente raggiunti dalle terapie attualmente disponibili.

“Tuttavia, le prove di efficacia e sicurezza disponibili - precisa Di Cesare Mannelli - sono ancora limitate e richiedono ulteriori approfondimenti, prima di poter formulare raccomandazioni circa l’utilizzo del trapianto fecale in contesti diversi rispetto all’infezione da Clostridium difficile. Negli ultimi anni gli studi sul trapianto fecale sono aumentati rapidamente, restituendo risultati promettenti, sebbene variabili. La ricerca è ancora agli inizi e diverse sono le questioni da chiarire”.

Nuove sfide per un trapianto a misura di paziente Diverse le criticità ancora da risolvere: a partire dal comprendere pienamente quale sia la procedura ottimale per l’esecuzione del trapianto e le caratteristiche del microbiota da considerare nella selezione dei donatori.

Generalmente, il trapianto avviene per via rettale, attraverso la colonscopia. In alternativa, è possibile utilizzare un clistere, un sondino naso-gastrico o delle capsule gastroresistenti. In tutti i casi, una delle principali incognite resta il livello di attecchimento dei microrganismi trapiantati nell’intestino del paziente. Questo dipende dall’ambiente (lume intestinale) in cui il microbiota si trova a dover sopravvivere: ambiente che è influenzato da molteplici fattori, tra cui dieta, farmaci e la presenza di altre patologie. L’attecchimento è, infatti, maggiore nei pazienti con malattie infettive, i quali presentano uno squilibrio del microbiota più semplice da trattare rispetto a chi soffre di patologie croniche, che sono associate a condizioni di disbiosi più complesse e consolidate.

Per quanto riguarda, invece, l’individuazione delle caratteristiche ottimali del microbiota da trapiantare un grande aiuto può venire dall’intelligenza artificiale. “La prospettiva futura è quella di ottimizzare – conclude Di Cesare Mannelli – la procedura del trapianto in base al problema che deve essere affrontato e, quindi, mirare ad una terapia cucita su misura per ciascuna patologia e per ogni paziente. Oggi, grazie all’intelligenza artificiale è possibile predire con accuratezza la composizione del microbiota del ricevente dopo il trapianto. Questo nuovo strumento potrebbe portare all’identificazione di ‘super-donatori’ da cui partire per massimizzare la riuscita dell’intervento, la quale è strettamente correlata alla ‘bontà del microbiota’ che attecchisce post-trapianto”.

Man mano che aumenterà la comprensione di questi aspetti, sarà possibile ottenere procedure maggiormente standardizzate ed efficaci, che consentiranno di conseguire una minore variabilità nella risposta dei pazienti e di allargare l’uso del trapianto fecale oltre quello attuale, che oggi è considerato - è importante ricordarlo - una procedura sicura e ben tollerata.

17 febbraio 2023
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