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“L’emergenza ha messo in risalto il ruolo fondamentale dei farmacisti. E per il futuro non vedrei male che per i farmacisti collaboratori si adottasse il contratto della sanità”. Intervista ad Andrea Mandelli
"Nell’ospedale è emersa come non mai l’importanza del farmacista per assicurare la disponibilità di medicinali e dispositivi, ma anche per garantire la corretta gestione delle terapie. Ed è nell’emergenza che è stata varata la figura del farmacista vaccinatore, un’innovazione destinata a restare. Con l’implementazione della farmacia dei servizi, sottolinea il presidente della Fofi, si può finalmente renderla una realtà operante, saldandola al principio chiave della prossimità". E ora rinnovo della Convenzione, riforma della remunerazione e rinnovo del contratto
21 MAG - L'emergenza Covid ha messo in risalto il ruolo centrale giocato dai farmacisti nel contesto del Servizio sanitario nazionale. Dagli ospedali per assicurare la disponibilità di medicinali e dispositivi, ma anche per garantire la corretta gestione delle terapie, fino alla figura del farmacista vaccinatore. Un'ulteriore passo in avanti per implementare la farmacia dei servizi. Ma non c'è solo il Covid. Le innovazioni varate in questi mesi sono destinate a rimanere nel tempo per essere estese anche ad altre forme di prossimità e servizi di prevenzione.
 
E poi le partite ancora aperte sulla convenzione, la riforma della remunerazione ed il rinnovo del contratto. Di tutto questo ha parlato in questa intervista il presidente della Fofi, Andrea Mandelli.
 
Presidente Mandelli, partiamo dalla cronaca. Crede che si stia uscendo dall’emergenza?
Si incomincia a vedere l’uscita, come confermano anche gli ultimi dati, grazie innanzitutto all’arrivo dei vaccini in quantità adeguate e nell’avvio di una macchina organizzativa che finalmente ha messo in campo tutte le risorse già disponibili, compresi noi farmacisti. Come ha pubblicato anche questo giornale, già prima della partenza delle vaccinazioni in farmacia i nostri colleghi volontari stanno vaccinando negli hub, un fatto che mi rende davvero orgoglioso. Ovviamente questo non deve far abbandonare la prudenza che tutti abbiamo osservato finora: il distanziamento, le misure di igiene, l’uso delle mascherine e tutte le altre precauzioni ci devono accompagnare ancora. Ma ora è possibile pensare a un progressivo ritorno alla normalità, che significa anche far riprendere l’economia prima che sia troppo tardi. Non dimentichiamo che dall’inizio della pandemia sono stati persi un milione di posti di lavoro.

Veniamo alla professione. Alle ultime elezioni per il rinnovo del vertice della FOFI ha partecipato il 96% degli aventi diritto al voto, e la sua lista ha ottenuto il 90% dei suffragi. Se lo aspettava?
Sì, non per presunzione, ma perché in questi mesi molto difficili, a dire il meno, ho sempre avvertito un forte sostegno di tutti i colleghi alla linea politica seguita dalla Federazione in quest’ultimo triennio, e un grande coinvolgimento nelle scelte individuali che questa comportava. Valga per tutti l’esempio della partecipazione ai corsi dedicati alla vaccinazione che la FOFI ha realizzato in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità e che danno ai colleghi la certificazione di vaccinatore per l’inoculazione dei vaccini contro il SARS-CoV-2. Pochi giorni fa i colleghi che si sono iscritti erano oltre 23000, e circa 20.000 avevano completato la formazione. Non siamo di fronte semplicemente alla condivisione di un modello teorico, ma alla disponibilità a partecipare fin da subito a un nuovo modo di intendere la professione, in particolare sul territorio ma non solo.
 
Pensa che l’emergenza abbia avuto un ruolo nel generare questa spinta al cambiamento?
In parte, ma più che nella professione, nella politica. E’ apparso evidente che, come ho sempre sostenuto in tutte le occasioni, i farmacisti di comunità hanno avuto un ruolo fondamentale nel mantenere la coesione tra Servizio sanitario e pazienti, oltre che continuare a erogare servizi essenziali: dall’accesso al farmaco all’ossigenoterapia domiciliare. E non c’è stato soltanto il lavoro dei colleghi del territorio…
 
Parla dell’ospedale?
Certamente: nell’ospedale è emersa come non mai l’importanza del farmacista per assicurare la disponibilità di medicinali e dispositivi, ma anche per garantire la corretta gestione delle terapie. E vorrei sottolineare come i colleghi ospedalieri siano anche al centro dell’attività dei siti vaccinali, compresi gli hub esterni agli ospedali. La preparazione e gestione delle dosi è fondamentale per garantire che il flusso delle vaccinazioni non si interrompa mai e proceda con la massima sicurezza. E vorrei ricordare l’impegno dei farmacisti della Sanità militare che operano nel centro di Pratica di Mare, il cuore pulsante della distribuzione dei vaccini nel paese. A tutti loro un grazie.
 
Insomma è proprio il ruolo dei farmacisti con le sue specificità a essere stato messo in risalto dalla gestione dell’emergenza.
Sì, ed è una situazione che si è presentata ovunque nell’Occidente industrializzato, soprattutto in paesi nei quali i farmacisti erano già coinvolti in attività strutturate che vanno al di là della dispensazione. In Italia non era ancora così, ma c’erano tutto il lavoro svolto per il modello della farmacia dei servizi, in primo luogo dalla Federazione, e una normativa di base ben costruita. Restava da fare l’ultimo passo: dare il via. E con la Legge di Bilancio e poi il Decreto Sostegni questo passo è stato compiuto per l’aspetto fondamentale delle vaccinazioni.
 
Non teme che la politica attuata nell’emergenza possa allontanare proprio dal modello della farmacia dei servizi?
E’ un’interpretazione che respingo. E’ nell’emergenza che è stata, per così dire, varata la figura del farmacista vaccinatore, ma è un’innovazione che è destinata a restare e per molti motivi. Per cominciare, è più che probabile che la COVID-19 diventi una malattia endemica che richiede vaccinazioni annuali, ed è logico che non si potrà procedere servendosi di hub e grandi strutture centralizzate, anche perché sono gestiti sottraendo personale e risorse degli ospedali, che devono invece tornare al più presto a svolgere le loro funzioni, per recuperare tutte le prestazioni fondamentali che la pandemia ha costretto a rimandare. Di conseguenza, si deve per forza di cose costruire un reticolo di siti vaccinali di prossimità, dove potersi recare con il minimo di burocrazia e spostamenti. Già ai primi di maggio, le farmacie francesi avevano eseguito il 6% delle vaccinazioni contro la COVID-19 effettuate nel paese proprio grazie alla loro capillarità. Se non c’è un’offerta di prossimità diventa difficile, anche nel medio periodo, raggiungere tutti e in particolare i più fragili.
 
E oltre al vaccino anti-Covid?
C’è il capitolo delle altre vaccinazioni dell’adulto: l’antinfluenzale, l’antipneumococcica e quella contro l’herpes zoster, per le quali la copertura, anche all’interno delle fasce protette, non è mai stata adeguata in Italia. Solo coinvolgendo i farmacisti, come avvenuto degli Stati Uniti a partire dalla metà degli anni novanta, si può stabilmente aumentare l’accesso alla vaccinazione. E questo rientra perfettamente, fin dall’inizio, nelle finalità della farmacia dei servizi.
 
In che senso?
Già nella Legge 69/2009 si distinguono servizi di primo e secondo livello. Questi ultimi sono quelli rivolti al singolo paziente, come il supporto all’aderenza alla terapia o la diagnostica di prima istanza o, ancore, la telemedicina. Sono invece prestazioni di primo livello quelle che rientrano nelle campagne di educazione sanitaria, screening e prevenzione e se si parla di prevenzione non si può non considerare le campagne vaccinali. La partecipazione alle campagne di salute pubblica è un obiettivo fondamentale per la professione e allo stesso tempo è una condizione necessaria per il loro successo. Se finora la prevenzione è stata l’aspetto più trascurato nella nostra sanità, come più volte richiamato anche dal Ministro della salute Roberto Speranza, con l’implementazione della farmacia dei servizi si può finalmente renderla una realtà operante, saldandola al principio chiave della prossimità. E quello che vale per la prevenzione primaria vale anche per la prevenzione secondaria..
 
Quindi nel futuro della farmacia la partecipazione alle campagne nazionali di prevenzione avrà un peso sempre maggiore?
Certamente, e la buona prova che le farmacie italiane hanno dato nello screening del diabete di Tipo 2, nelle diverse edizioni del Diaday, sta a dimostrare quali vantaggi garantisca il loro intervento. In Inghilterra, lo scorso anno, è stato attivato tra i servizi avanzati della farmacia anche il test per l’individuazione dell’HCV in alcuni gruppi di popolazione: perché oggi disponiamo di medicinali in grado di curare definitivamente l’epatite C cronica e questo tipo di screening è fondamentale per intercettare le persone che hanno un rapporto più labile con gli altri livelli del Servizio sanitario ma frequentano comunque le farmacie. Ma sarebbe un errore pensare soltanto alle campagne nazionali. Anche a livello regionale e persino di singola azienda sanitaria sono pensabili iniziative mirate a bisogni del territorio in cui il farmacista può intervenire positivamente.
 
Torniamo alla stretta attualità: i dati economici delle farmacie italiane non sono positivi malgrado, a differenza di altri settori, non abbiano mai chiuso…
Certamente e non c’è nulla di imprevedibile: le farmacie non hanno mai chiuso ma è chiaro che le persone, durante il lockdown e non solo, si sono recate in farmacia il minimo indispensabile. In media, si è registrato nel 2020 il 9% in meno di accessi, con punte nei mesi di chiusura, ovviamente, e nelle grandi città come Milano (-15%) o Roma e Napoli (-10%). Solo dalla fine di marzo di quest’anno in poi si è avvertita una ripresa. Occorre dunque un intervento a supporto della rete delle farmacie articolato su più fronti: da una diversa remunerazione della dispensazione al riconoscimento economico per le prestazioni professionali svolte all’interno delle farmacie. Infine, ma non per importanza, si impone una revisione della distribuzione del farmaco che veda la farmacia come il punto di dispensazione di tutti i farmaci che possono essere impiegati fuori dall’ospedale.
 
Ma c’è chi sostiene che da questo punto di vista non si vedono grandi cambiamenti.
Non è così. Per i testi sierologici e antigenici è stata prevista in molte realtà l’esecuzione in regime di SSN con un pagamento a prestazione. Lo stesso vale per le vaccinazioni, quando cominceranno. E vorrei che non si dimenticasse che, si spera il più presto possibile, ricomincerà la sperimentazione regionale della farmacia dei servizi, dove i diversi servizi previsti sono ovviamente remunerati. Il principio mi sembra stabilito: alla prestazione deve corrispondere un compenso.
 
E la dispensazione?
Anche qui abbiamo ottenuto un primo passo: nel Decreto Sostegni è stata introdotta, in via sperimentale per gli anni 2021 e 2022, una remunerazione aggiuntiva in favore delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN, pari a 50 milioni di euro per quest’anno 2021 e a 150 milioni di euro per il 2022. Entro il 21 giugno ci sarà un apposito Decreto del Ministero della Salute che metterà a disposizione delle Regioni queste somme. Lo ripeto: è un primo passo, l’inizio di un percorso che deve prevedere il rinnovo della Convenzione e la riforma della remunerazione. Dopo quanto è successo, dopo lo sforzo che la rete delle farmacie ha sostenuto durante la pandemia, non è tollerabile che non si completi il rinnovo di un accordo che è scaduto vent’anni fa. E mi sembra lapalissiano che si debba prendere atto del fallimento della distribuzione diretta del farmaco, che non ha favorito certamente i cittadini, ha estromesso i farmacisti e le farmacie dal circuito dell’innovazione e non ha certo contenuto la spesa farmaceutica.
 
Non è l’unica trattativa che attende una conclusione: c’è anche il contratto dei collaboratori delle farmacie…
La Federazione ha sempre dedicato la massima attenzione a questo aspetto e non abbiamo mai smesso di adoperarci per facilitare i rapporti e mantenere sempre aperto il dialogo tra le parti, come ci hanno riconosciuto tanto Federfarma quanto le rappresentanze dei colleghi collaboratori. La FOFI, però, non può avere per legge un ruolo nelle trattative, in quanto i contratti vanno stipulati esclusivamente tra le parti interessate. E’ evidente che rinnovo della Convenzione e riforma della remunerazione, da una parte, e rinnovo del contratto sono aspetti collegati vista la difficile situazione economica. Ora però, alla luce di quanto detto prima, ritengo si stiano creando i presupposti per una soluzione.
 
Si parla dell’adozione nelle farmacie del contratto della sanità…
E’ uno dei punti che avevamo considerato già nel Documento di palazzo Marini, ed è una proposta sensata, a maggior ragione oggi, quando i farmacisti collaboratori sono chiamati a funzioni sempre più evidentemente sanitarie, a farsi carico della persona che ha di fronte. Ovviamente andrebbe considerato un inquadramento che tenga conto delle specificità della farmacia: la Federazione è impegnata a valutare se questa via è concretamente percorribile e, se sì, a mettere a punto uno schema da sottoporre a Federfarma e alle rappresentanze dei collaboratori, nell’auspicio che vogliano tenere in considerazione questa prospettiva.
 
Anche quello degli esercizi di vicinato – le parafarmacie- è un aspetto irrisolto. Ci sono novità?
Innanzitutto colgo l’occasione per ribadire che quando la FOFI parla di impegno dei farmacisti sul territorio durante la pandemia parla di tutti i colleghi, che lavorino nelle farmacie o negli esercizi di vicinato. E ricordo che anche tra i colleghi degli esercizi di vicinato c’è stato chi ha pagato il suo impegno con la vita. E’ evidente che la situazione degli esercizi di vicinato di proprietà di farmacisti è peggiorata in questi mesi e che l’indispensabile riforma della sanità territoriale deve tenere conto anche di questo aspetto. Non è semplice trovare una soluzione ma come sempre continueremo ad adoperarci per raggiungere una sintesi tra gli interessi di tutti.
 
Come saranno i prossimi mesi per la professione?
Sicuramente intensi. Ormai pare sicuro che da giugno, forniture permettendo, cominceranno le vaccinazioni ma non c’è solo questo impegno. Come ho detto, ci attende la ripresa della sperimentazione regionale e, soprattutto, il servizio sanitario nel suo complesso deve recuperare la situazione che la pandemia ha creato nell’assistenza ai malati cronici, negli screening, nella gestione della disabilità. Ancora pochi giorni fa il BMJ comunicava che nel primo lockdown si era registrato un calo del 33% delle diagnosi di tumori allo stadio iniziale: solo un esempio di quanto è accaduto in tutto il mondo, Italia compresa. Come ho detto nel corso del Consiglio Nazionale, il 22 aprile, si farà fatica, ma non possiamo essere titubanti: è in gioco la salute dei cittadini, il futuro del paese e del Servizio sanitario. E anche della nostra professione.
 
Maurizio Imperiali
21 maggio 2021
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