Il Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza 7 maggio 2025, n. 3872 ha parzialmente accolto un ricorso presentato dagli eredi del titolare di una farmacia situata in un’area periferica, contro l’istituzione di due nuove sedi farmaceutiche. La controversia riguardava la legittimità di una deliberazione comunale che aveva autorizzato l’apertura delle farmacie in una zona con un ridotto rapporto abitanti/farmacia.
In particolare, il Consiglio di Stato ha ribadito che il Comune, nell’organizzazione della dislocazione territoriale del servizio farmaceutico, gode di ampia discrezionalità in quanto la scelta conclusiva si basa “sul bilanciamento di interessi diversi attinenti alla popolazione, attuale e potenzialmente insediabile, alle vie e ai mezzi di comunicazione, alle particolari esigenze della popolazione, per cui la scelta conclusiva è sindacabile solo sotto il profilo della manifesta illogicità ovvero della inesatta acquisizione al procedimento degli elementi di fatto presupposto della decisione, non potendo il Giudice Amministrativo sostituire la propria valutazione di opportunità a quella resa dall’Amministrazione comunale”.
Sul punto, i Giudici hanno precisato che, secondo la giurisprudenza amministrativa, il Comune, nell’operare una scelta equilibrata e ragionevole, deve però tenere in considerazione anche l’interesse commerciale dei farmacisti che persegue una finalità di stimolo alla concorrenza, fermo restando che
l’interesse patrimoniale del privato è destinato a recedere ove si dimostri che è incompatibile con il prevalente perseguimento dell’interesse pubblico.
In ogni caso, i criteri ispiratori della scelta operata dall’Amministrazione nella localizzazione delle farmacie e nella redazione della pianta organica vanno ricercati negli atti del procedimento complessivamente inteso, in base ai quali è possibile verificare se detti criteri siano legittimi, congrui e ragionevoli e se il provvedimento sia coerente con essi.
Nel caso di specie, la carenza di dati istruttori e l’insufficienza della motivazione hanno portato i Giudici all’annullamento della deliberazione comunale per difetto di istruttoria e di motivazione, con salvezza del potere del Comune di riaprire il procedimento e di adottare le conseguenti determinazioni.