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Istat: “Il Covid si è abbattuto su un Ssn indebolito ma il sistema ha retto ed è riuscito a reagire. Tuttavia elevato numero decessi impatterà sulla speranza di vita per quasi 1 anno di meno”
E’ questa la sintesi del bilancio Istat sull’impatto del Covid sul nostro sistema sanitario cui è dedicato un intero capitolo del Rapporto annuale 2020 sulla situazione del Paese curato dall’istituto. L’Italia tra i Paesi più colpiti con quasi 240mila contagi e poco meno di 35mila decessi ma con un impatto molto diverso tra Nord e Centro, più colpiti, e Sud e Isole meno coinvolti dall’epidemia. Diverso anche l'impatto rispetto alle classi sociali: "L’epidemia ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili, acuendo al contempo le significative disuguaglianze che affliggono il nostro Paese". IL CAPITOLO SALUTE
03 LUG - Traspare orgoglio nelle parole dell’Istat dedicate a quanto accaduto nel nostro sistema sanitario assalito da un’epidemia sconvolgente che ha visto l’Italia tra i Paesi più precocemente e intensamente coinvolti.
 
“L’emergenza sanitaria – si legge nel report Istat contenuto nel Rapporto Annuale 2020 presentato oggi a Roma - interviene a valle di un lungo periodo in cui il Servizio sanitario nazionale è stato interessato da un forte ridimensionamento delle risorse, nonostante ciò, è riuscito a reggere, pur con difficoltà, l’impatto dell’emergenza sanitaria. Negli ospedali si è riscontrata la diminuzione dei ricoveri per malattie ischemiche di cuore e per malattie cerebrovascolari. Ma nello stesso tempo, il sistema ha mantenuto inalterata la capacità di trattamento tempestivo e appropriato di queste patologie una volta ospedalizzate”.
 
Ma è certo che la “botta” c’è stata e ha colpito, rileva Istat, “maggiormente le persone più vulnerabili, acuendo al contempo le significative disuguaglianze che affliggono il nostro Paese, come testimoniano i differenziali sociali riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid-19. Sono infatti le persone con titolo di studio più basso a sperimentare livelli di mortalità più elevati”.
 
Inoltre scrive Istat: “Mancano all’appello dei morti per questa pandemia, anche tutti gli esiti fatali di patologie diverse che si sarebbero potuti evitare o ritardare se la necessità di riallocare risorse materiali e umane del sistema sanitario verso l’assistenza COVID-19 non avesse portato all’interruzione di importanti percorsi assistenziali e terapeutici”.
 
Ma non basta perché il Rapporto sottolinea anche che “se si amplia lo sguardo ad altri esiti di salute, l’impatto rischia di divenire ancora più oneroso, giacché è molto probabile che l’esperienza di malattia possa aver, più o meno parzialmente, compromesso la funzionalità futura del sistema immunitario”.

Gli effetti dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità
- L’epidemia ha colpito quasi 240mila persone e causato poco meno di 35mila decessi. Il numero di casi Covid-19 segnalati in Italia è massimo a marzo (113.011), con il picco registrato il 20 del mese, e poi inizia a diminuire; ad aprile i casi segnalati sono 94.257. Il calo è proseguito ancora più marcatamente nei mesi di maggio e giugno. 
 
- La diffusione del Covid-19, piuttosto limitata nelle regioni del Sud e delle Isole anche grazie alle misure di contenimento adottate, è stata in media più marcata in alcune aree del Centro (soprattutto nelle Marche) e molto elevata in alcune province del Nord, soprattutto in quelle lombarde, che sono anche i primi territori a essere stati coinvolti. In Lombardia è infatti segnalato il primo caso italiano di Covid-19 (20 febbraio). 
 
- Una delle conseguenze più drammatiche dell’epidemia è l’incremento complessivo della mortalità. Dal 20 febbraio al 30 aprile 2020 sono stati oltre 28.500 i decessi di persone positive al Covid-19; il 53% (15.114) è deceduto entro il mese di marzo, il restante 47% nel mese di aprile (13.447). Tuttavia, si tratta di dati ancora parziali, in quanto riferiti ai soli casi di deceduti dopo una diagnosi microbiologica di positività al virus. 
 
- I decessi totali subiscono un rapido e drammatico incremento nel mese di marzo (+48,6% rispetto alla media 2015-2019) arrivando a 80.623 (26.350 in più in valore assoluto). Nel mese di aprile i deceduti per il complesso delle cause sono 64.693, ancora superiori di un terzo alla media del 
2015-2019 (+16.283). 
 
- L’incremento più marcato dei decessi nel mese di marzo è stato registrato in Lombardia (+188% rispetto alla media nello stesso mese del periodo 2015-2019); seguono l’Emilia-Romagna, con un aumento del 71%, il Trentino Alto-Adige (+69,5%) e la Valle d’Aosta (+60,9%).
 
- A livello locale i decessi nel mese di marzo 2020 aumentano di quasi 6 volte nella provincia di Bergamo (+571%), di circa 4 volte nelle province di Cremona (+401%) e Lodi (+377%), triplicano o quasi a Brescia (+292%) e Piacenza (+271%), sono più che raddoppiati a Parma (+209%), Lecco (+184%), Pavia (+136%), Pesaro e Urbino (+125%) e Mantova (+123%).
 
- La mortalità complessiva inizia a ridursi a partire dalla fine del mese: i decessi passano dai 24.893 di marzo ai 16.190 di aprile e l’eccesso rispetto alla media degli stessi mesi del periodo 2015-2019 scende da +188,1% a +107,5%. Bergamo e Lodi sono le aree in cui il calo della mortalità è stato più accentuato: da +571% di marzo a +123% di aprile a Bergamo e da +377% a +79,9% a Lodi.
 
- L’eccesso di mortalità più consistente si riscontra per gli uomini di 70-79 e di 80-89 anni, per i quali i decessi cumulati dal primo gennaio al 30 aprile 2020 aumentano di oltre il 52% rispetto alla media del periodo 2015-2019; segue la classe di età 90 e più, con un incremento del 48%. Per gli uomini più giovani (50-59 anni) l’eccesso di mortalità è del 26%.
 
- Per le donne l’incremento è più contenuto in tutte le classi di età; nel periodo gennaio-aprile segna il 42% in più della media degli anni 2015-2019 per la classe di età 90 e oltre, che risulta la più colpita. Seguono la classe 80-89 anni, con un incremento del 35%, e la 70-79 (31%). Per le donne più giovani (50-59 anni) i decessi sono aumentati del 12%.
 
- L’elevato numero di decessi osservato a causa del Covid-19 avrà, con molte probabilità, un impatto anche sulla speranza di vita. Se l’effetto Covid dovesse determinare per tre mesi un costante incremento, dell’ordine del 50%, della probabilità di morte in corrispondenza delle età più anziane, per il 2020 risulterebbero 710mila morti su base annua (73mila in più). In parallelo, la speranza di vita alla nascita scenderebbe a 82,11 anni (-0,87) e quella al 65° compleanno si ridurrebbe da 20,89 a 20,02.
 
- La mobilità per lavoro è una delle determinanti della localizzazione e della intensità della diffusione sul territorio dell’epidemia. La mortalità letta secondo la geografia dei sistemi locali del lavoro (SL) mette in luce che i tassi più elevati si verificano nei sistemi locali di Albino (45,2 per 10mila abitanti), Canazei (40,9), Zogno (35,4), Orzinuovi (34,3), Clusone (34,1), Lodi (30,5), Cremona (29,6), Piacenza (29,1) e Fiorenzuola d’Arda (29,0). I sistemi nei quali non è stato registrato alcun decesso da Covid-19 si concentrano lungo la dorsale appenninica e nelle aree interne del Paese.
 
- L’epidemia ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili, acuendo al contempo le significative disuguaglianze che affliggono il nostro Paese, come testimoniano i differenziali sociali riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid-19. L’incremento di mortalità ha penalizzato di più la popolazione meno istruita: il rapporto standardizzato di mortalità - che misura l’eccesso di morte dei meno istruiti rispetto ai più istruiti - è intorno a 1,3 per gli uomini e a 1,2 per le donne. Lo svantaggio è più ampio tra i 65-79enni residenti nelle aree con alta diffusione dell’epidemia, sia per gli uomini (1,28 a marzo 2019, 1,58 a marzo 2020) sia per le donne (da 1,19 a 1,68).
 

 
L’impatto del Covid-19 sull’assistenza ospedaliera
- I primi dati disponibili segnalano che l’impatto dell’emergenza sull’assistenza ospedaliera c’è stato, ma limitato. Sono diminuiti i ricoveri per le malattie ischemiche del cuore e per le malattie cerebrovascolari ma è rimasta invariata la capacità di trattamento tempestivo e appropriato di queste patologie una volta ospedalizzate. Si è ridotta drasticamente l’offerta di interventi di chirurgia elettiva non urgente ma quella per interventi non differibili in ambito oncologico e ortopedico sembra non abbia subito contraccolpi.
 
- L’emergenza sanitaria interviene a valle di un lungo periodo in cui il Servizio sanitario nazionale è stato interessato da un ridimensionamento delle risorse. Dal 2010 al 2018 la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo dello 0,2% medio annuo a fronte di una crescita economica dell’1,2%. Una tendenza negativa prevalsa nel corso degli anni è la riduzione della spesa per investimenti delle Aziende sanitarie, scesi dai 2,4 miliardi del 2013 a poco più di 1,4 miliardi nel 2018. 
 
- Il rallentamento della spesa è dovuto principalmente alla diminuzione del personale sanitario. Rispetto al 2012 il calo è del 4,9% e ha riguardato anche medici (-3,5%) e infermieri (-3,0%). Nello stesso periodo (2012-2018) il solo personale a tempo indeterminato del comparto sanità si è ridotto di 25.808 unità (-3,8%): i medici sono passati da 109mila a 106mila (-2,3%) e il personale infermieristico da 272mila a 268mila (-1,6%). 
 
- L’Italia dispone di 39 medici ogni 10mila residenti, un numero sensibilmente inferiore a quello della Germania, che ne conta 42,5. Ancora più sfavorevole il confronto con il personale infermieristico: 58 per 10mila residenti contro 129.
 
- Al 31 dicembre del 2019 l’Italia può contare su 66.481 medici specialisti nelle aree dell’emergenza, delle malattie infettive, delle malattie dell’apparato respiratorio o cardiovascolare e della medicina interna; questi professionisti costituiscono circa il 35% del totale dei medici specialisti. Rispetto al 2012 la dotazione complessiva è aumentata del 5,2%, con differenze per tipo di specializzazione: anestesisti +13,3%, specialisti dell’emergenza +9,8%, specialisti delle malattie dell’apparato cardiovascolare +7,4%. La già esigua dotazione di medici specialisti delle malattie infettive e tropicali è invece diminuita dell’8,3%. 
 
- L’offerta di posti letto ospedalieri si è ridotta notevolmente nel tempo: nel 1995 erano 356mila, pari a 6,3 per 1.000 abitanti, nel 2018 sono 211mila, con 3,5 posti letto ogni 1.000 abitanti. Nell’Ue28 mediamente l’offerta di posti letto è di 5,0 ogni 1.000 abitanti, in Germania sale a 8.
 
- L’attività ospedaliera si è concentrata sull’erogazione di prestazioni a più elevata intensità assistenziale. Tra il 2010 e il 2018 è diminuita la quota destinata ai reparti con specialità di base, passata dal 55,6% nel 2010 al 52,6% nel 2018; per contro è aumentata la proporzione di posti letto nei reparti con specializzazione di media ed elevata assistenza (dal 24,6% al 25,2%) e in quelli della terapia intensiva (dal 3,6% nel 2010 al 4,3%). 
 
- L’assistenza territoriale è una tipologia di offerta più capillare e ruota attorno alla figura del medico di medicina generale. Nel 2018 il personale addetto alle cure primarie ammonta a circa 43mila medici di medicina generale e 7.500 pediatri di libera scelta. Rispetto al 2012 i primi sono diminuiti di 2.450 unità e i secondi di 157.
 
- Le strutture gestite dalle Asl per l’assistenza clinica specialistica e diagnostica strumentale sono complessivamente 5,8 ogni 100mila abitanti, da 6,4 del 2009. Quelle gestite dal privato in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale sono pari a 8,8 ogni 100mila abitanti (9,7 nel 2009).
 
- Nel corso degli anni si è ridotta anche l’assistenza ambulatoriale, nel 2017 le prestazioni erogate sono state 1 miliardo e 257 milioni, il 6,5% in meno rispetto al 2009.
 
- L’assistenza domiciliare integrata ha assistito 1.667 casi ogni 100mila abitanti nel 2017, in sensibile aumento rispetto al 2009 quando prendeva in carico 888 pazienti. Una parte dell’assistenza socio-assistenziale e socio-sanitaria è fornita dai Presidi residenziali: nel 2018, sono poco più di 12.200 le strutture attive, per un totale di circa 425mila posti letto.

Popolazione anziana ed emergenza Covid-19
- Gli anziani sono stati i più colpiti dalla pandemia, quasi l’85% dei decessi riguarda persone over70, oltre il 56% quelle sopra agli 80. Sono dunque i più fragili anche se negli anni hanno visto migliorare sia la salute che la qualità della vita. 
 
- Tra gli ultraottantenni di oggi circa uno su quattro dichiara di stare male o molto male, a fronte di uno su tre nel 2009 e di circa il 36% nel 2000. La multi cronicità è la causa di una più elevata fragilità e tale circostanza si riscontra anche nelle cause di decesso. Nel 2018 il numero medio di patologie registrato sulla scheda di decesso degli ultra 80enni è pari a 3,3 (3,5 negli uomini; 3,2 nelle donne). Il 41% dei decessi in questa fascia di età riporta almeno 4 patologie, il 22% ne riporta 3.
 
- Il processo di invecchiamento è sicuramente un fatto ineluttabile, ancorché testimone di una buona efficacia del Servizio Sanitario Nazionale. Tuttavia, “gli anziani non sono gli stessi di una volta”, nel 1960 gli uomini a 65 anni avevano un’attesa di vita di 13,1 anni, la medesima aspettativa le donne l’avevano a 68 anni; oggi la stessa prospettiva di vita residua la sperimentano, rispettivamente, a 73 e 76 anni.
 
- Molti degli ultraottantenni vivono così una buona qualità della vita; circa un terzo, pari a 2 milioni e 137mila, gode di buona salute, risiede soprattutto nel Nord e dichiara risorse economiche ottime o adeguate. Questo collettivo esprime elevati livelli di soddisfazione per la vita nel complesso, frequenta gli amici assiduamente, ha una rete di amici, parenti e conoscenti su cui può contare in caso di bisogno. Si arriva circa alla metà se si considerano anche gli ultraottantenni che stanno discretamente e mantengono buone relazioni con la rete familiare. 
03 luglio 2020
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