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Quanto ci è costato curare i malati di Covid in ospedale? Altems: “Tra ricoveri e terapie intensive fino ad oggi spesi quasi 1,7 miliardi”
Nella nona puntata del report settimanale dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Servizi Sanitari dell’Università Cattolica, focus sulla spesa sostenuta per i ricoveri. Per i ricoveri ordinari spesi 1,45 mld mentre per le terapie intensive circa 250 mln. Evidenziata anche una contrazione considerevole dei ricoveri ordinari con possibili ripercussioni future sulla salute dei pazienti. Tele-visite in aumento, costituiscono il 48% del totale delle prestazioni. IL REPORT
28 MAG - “Si comincia a intravedere l’impatto economico dell’epidemia Covid-19, caratterizzato da enormi costi complessivi per i ricoveri dei pazienti affetti da nuovo coronavirus, e dalla contrazione enorme dei ricoveri ordinari che potrebbe tradursi in cattiva salute futura dei pazienti e quindi in una maggiore prossima spesa sanitaria: per i 144.658 ricoveri per Covid-19 effettuati e conclusi, la spesa, in base alle tariffe DRG, si stima pari a 1.226.137.474 di euro, di cui il 33% sostenuto per i casi trattati in Lombardia. Per i 23.069 ricoveri per Covid-19 stimati conclusi per il decesso del paziente, la spesa, sempre in base alle tariffe DRG, si stima pari a 225.958.333 euro, di cui ben il 48% sostenuto per i casi trattati in Lombardia”. Sono questi alcuni dei dati della nona puntata dell’Istant Report Covid-19 dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Servizi Sanitari dell’Università Cattolica.
 
“Considerando – prosegue - inoltre 176.145 giornate di degenza (al 26 maggio) in terapia intensiva, ad un costo giornaliero medio di 1425 euro il costo totale a livello nazionale ammonterebbe a 250 milioni di euro, di cui il 36% sostenuto in strutture ospedaliere della Lombardia. La stima dei costi di TI al momento è basata su un costo medio e non tiene conto del maggior costo dovuto al ricorso alla ventilazione meccanica. Si è in attesa della validazione delle ipotesi fatte da parte di clinici esperti nel trattamento dei pazienti COVID-19”.
 
In totale quindi si arriva alla cifra di 1,7 mld tra spese per ricoveri e terapie intensive.
 
Meno 860 mila ricoveri. Inoltre Altems rivela come “il DRG medio riferito a ricoveri ordinari, che nel 2018 risultava di 3.866,56 €, in 4 mesi di emergenza Covid ha subito ripercussioni e contrazioni: si stima una riduzione di 860.000 ricoveri ordinari e di 3,3 miliardi di euro di spesa complessiva. Rimane da verificare se tale «perdita» di attività avrà ripercussioni sia sulla salute dei pazienti, sia sull’attività futura di ricovero (con possibili perdite economiche in particolare per gli istituti privati accreditati)”.
 
 
“L’impatto del Covid-19 per il Paese e le Regioni si misura in primo luogo sul numero dei morti direttamente riconducibili al virus – commenta il Prof. Americo Cicchetti. Inizia ad emergere, però, che le ricadute per la salute degli italiani della pandemia sono la parte forse più rilevante dell’Iceberg Covid 19. Si cominciano ad intravedere anche gli effetti economici sul Ssn: aver perso quasi 1 milione di ricoveri per un valore tariffato di 3,3 miliardi significa aver “prodotto” meno salute. Ben 36 studi stanno iniziando a testimoniare il fatto che la minore attività del Ssn potrebbe lasciare una eredità ancor peggiore di quella che abbiamo sperimentato sinora”.      
 
 
Assistenza sanitaria per i pazienti non Covid
Si stanno moltiplicando le pubblicazioni scientifiche che presentano le prime evidenze relative all’impatto che ha avuto sull’emergenza COVID-19 sull’assistenza fornita a pazienti non-COVID-19 in Italia.
Cardiologia - Complessivamente da fine febbraio emerge una contrazione significativa nel numero dei ricoveri per sindrome coronarica acuta con ripercussioni sul numero di interventi di angioplastica coronarica (PCI). Si riscontra in termini di PCI un calo maggiore per le donne sebbene i campioni di pazienti risultino omogenei in termini di composizione per età e sesso. Lo studio relativo al un solo centro hub evidenzia, però, un tasso di PCI comparabile nei due anni. Utile per un’analisi critica del fenomeno è anche l’esperienza del centro Covid-19 che dettaglia le scelte strategiche adottate (come la riduzione delle procedure con maggiore impatto sulla terapia intensiva).
La survey condotta dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC) evidenzia come a fronte di una contrazione nel numero di ricoveri per IMA (-48%), vi sia un aumento nei decessi sia in valore assoluto (31 vs. 17) sia considerando il case fatality rate (13.7% vs. 4.1%). Inoltre, nel 2020 è aumentato in maniera significativa il tempo trascorso sia tra l’insorgenza dei sintomi e l’angiografia, sia tra il primo contatto con un operatore sanitario e l’intervento.
 
Diffusione dell’uso dei tamponi diagnostici
Il trend nazionale è in crescita: rispetto alla settimana scorsa, in Italia il tasso per 100.000 abitanti è passato da 7,14 a 7,21. Il tasso settimanale più basso si registra in Sicilia (è di 3,13 tamponi per mille abitanti nell’ultima settimana); il tasso più alto si registra in Veneto (15,99 per mille abitanti), mentre il Lazio si ferma a 4,27, sotto la media nazionale (7,21 tamponi per mille abitanti). Osservando il dato dall’inizio dell’epidemia a livello nazionale il 3,73% ha ricevuto il tampone. Il valore massimo nella P.A. di Trento con il 8,49%, il minimo in Campania (1,48%).
 
Cambia l’uso delle terapie intensive.
Oggi le Regioni con il maggiore rapporto tra ricoverati in TI e totale dei ricoverati sono le regioni del Centro-Nord, come la Toscana (19%) e Marche, Umbria ed Emilia-Romagna (14%). In forte aumento il Molise (al 28%), quest’ultimo ha più che raddoppiato questo rapporto rispetto alla scorsa settimana (18%), un trend in aumento da più di due settimane; in Lombardia e Piemonte la % scende leggermente attestandosi al 4,81% e 5,68% rispettivamente. Ancora alta nel Lazio (5,17%), mentre in Sicilia in aumento (10,75%).
 
La digitalizzazione in epoca di Covid-19.
Continua l’implementazione di soluzioni di telemedicina: il trend di crescita del numero totale delle iniziative avviate dalle singole aziende è circa il 10% in più rispetto alla settimana scorsa (totale attuale 149). Aumenta significativamente il numero delle soluzioni per assicurare l’accesso alle cure dei pazienti ordinari (+12%), rispetto a nessun aumento delle soluzioni dedicate ai pazienti Covid. Per la gestione dei pazienti covid la maggior parte delle soluzioni (due terzi) si basa su app e piattaforme dedicate. Nelle altre patologie, è invece preponderante l’utilizzo di strumenti web generalizzati ed anche del solo contatto telefonico (circa 80%).
È stato aggiunto l’incremento dall’ultima settimana nelle tipologie dei servizi erogati. Le televisite costituiscono il 48% del totale delle prestazioni, con un incremento del 15% rispetto alla scorsa settimana. A riprova della crescente importanza di seguire i pazienti ordinari e tentare di recuperare le situazioni di fermo degli ultimi mesi.
È stata aggiunta una tabella con i riferimenti alle delibere regionali (al momento 5) sui criteri di erogazione delle prestazioni in telemedicina, ad integrazione di quanto definito nelle linee guida nazionali, già recepite da tutte le regioni nel 2014.
 
Assume estrema rilevanza l’analisi della “readiness” delle Regioni per la Fase 2. L’analisi delle delibere regionali mostra che se per la fase 1 ben 16 Regioni hanno predisposto un provvedimento di “Programmazione Sanitaria Regionale”, a distanza di 7 giorni dall’ultimo aggiornamento, sembrerebbe che nessuna Regione abbia emanato delibere o atti relativi alla riorganizzazione dell’assistenza ospedaliera per la fase 2. Rimangono 9 le regioni che hanno definito, seppure con diverso grado di dettaglio, l’assetto della rete ospedaliera per il Covid – 19 nella fase 2. Permane quindi la forte differenziazione tra il Centro-Nord e il Sud del nostro paese. Infatti, al momento solo la Sicilia sembrerebbe aver definito le modalità organizzative per l’assistenza ospedaliera da dedicare ai pazienti affetti da coronavirus.
 
In riferimento alle “Linee di indirizzo per la ripresa delle attività ospedaliere ed ambulatoriali” non legate all’emergenza Covid-19, ad oggi l’85% delle Regioni Italiane ha definito pratiche e raccomandazioni che stanno consentendo di far ripartire l’attività ambulatoriale e chirurgica in elezione, sospese durante la fase 1 dell’emergenza dovuta alla diffusione del Covid-19. Rispetto al precedente aggiornamento, Sardegna, Molise e Trentino-Alto Adige (nello specifico l’Azienda sanitaria del Sud Tirolo) si sono aggiunte.
 
I documenti di programmazione si sono in particolare concentrati sull’individuazione dei Covid-Hospital, così come suggerito dalla strategia in 5 punti del Ministero della Salute. Tre approcci sembrano delinearsi al momento: quello dell’ospedale Covid unico regionale (Marche, Umbria, Abruzzo, Sicilia, Basilicata e Sardegna), quello della Rete “stellare” di ospedali Covid-19 (vedi Lombardia, Liguria, Veneto e Toscana), e quello della rete “Hub & Spoke” che caratterizza il Lazio, che ha suddiviso le strutture ospedaliere distribuite in 9 aree che fanno riferimento a 5 Covid-Hospital (alcuni coprono più aree), ma anche Emilia-Romagna (con una rete hub&spoke per le terapie intensive), Puglia e Calabria. L'analisi mostra una leggera tendenza verso il modello che prevede l’individuazione di Covid-Hospital, strutture dedicate esclusivamente alla cura dei pazienti Covid-19.
28 maggio 2020
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