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Nascite al palo. Rapporto Cedap 2016: sempre meno parti in Italia. Il 33,7% per via chirurgica. Il Ministero: “Eccessivo ricorso al cesareo”
Pubblicata l’ultima edizione del Rapporto annuale sull’evento nascita in Italia. In calo il numero dei parti (nel 2016 sono stati 466.707 contro i 478 mila del 2015). Sempre alto il ricorso al cesareo, soprattutto nel privato. Età media delle mamme italiane stabile a 32,8 anni. Scende il tasso di fecondità a 1,34 figli per donna. Quasi 9 parti su 10 in strutture pubbliche. IL RAPPORTO
12 SET - Nel corso del 2016 prosegue il calo delle nascite, in tutte le aree del Paese: sono nati 474.925 bambini (nel 2015 erano 486.451). In calo ovviamente anche il numero di parti (466.707 contro i 478 mila dell’anno precedente). È quanto emerge dal Rapporto annuale sull’evento nascita in Italia - CeDAP 2016, che illustra le analisi dei dati rilevati per l’anno 2016 dal flusso informativo del Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP).
 
“Il fenomeno – spiega il Ministero della Salute - è in larga misura l’effetto della modificazione della struttura per età della popolazione femminile ed in parte dipende dalla diminuzione della propensione ad avere figli. Le cittadine straniere hanno finora compensato questo squilibrio strutturale; negli ultimi anni si nota, tuttavia, una diminuzione della fecondità delle donne straniere”.
 
Il tasso di natalità varia da 6,3 nati per mille in Liguria a 10,4 nella Provincia Autonoma di Bolzano rispetto ad una media nazionale del 7,8 per mille. Le Regioni del Centro presentano tutte, tranne il Lazio, un tasso di natalità con valori inferiori alla media nazionale. Nelle Regioni del Sud, i tassi di natalità più elevati sono quelli di Campania, Calabria e Sicilia che presentano valori superiori alla media nazionale mentre la Sardegna ha un valore pari al 6,4 per mille.
 
Anche la fecondità mantiene l’andamento decrescente degli anni precedenti: nel 2016 il numero medio di figli per donna scende a 1,34 (rispetto a 1,46 del 2010). I dati per il 2016 danno livelli più elevati di fecondità al Nord nelle Province Autonome di Trento e Bolzano e nel Mezzogiorno in Campania e Sicilia. Le regioni in assoluto meno prolifiche sono invece Sardegna, Basilicata e Molise. Il tasso di mortalità infantile, che misura la mortalità nel primo anno di vita, è pari nel 2015 a 2,90 bambini ogni mille nati vivi.
 
Negli ultimi 10 anni tale tasso ha continuato a diminuire su tutto il territorio italiano, anche se negli anni più recenti si assiste ad un rallentamento di questo trend. Permangono, inoltre, notevoli differenze territoriali. Il tasso di mortalità neonatale rappresenta la mortalità entro il primo mese di vita e contribuisce per oltre il 70% alla mortalità infantile.
 
I decessi nel primo mese di vita sono dovuti principalmente a cause cosiddette endogene, legate alle condizioni della gravidanza e del parto o a malformazioni congenite del bambino. La mortalità nel periodo post neonatale è invece generalmente dovuta a fattori di tipo esogeno legati alla qualità dell’ambiente igienico, sociale ed economico in cui vivono la madre e il bambino.
 
 
Sintesi dei principali risultati
La rilevazione 2016, con un totale di 467 punti nascita, presenta un elevato livello di completezza. Si registra un numero di parti in ospedale pari al 100,1% di quelli rilevati con la Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO) ed un numero di nati vivi pari al 99,8% di quelli registrati presso le anagrafi comunali nello stesso anno. La qualità dei dati risulta buona per gran parte delle variabili, in termini sia di correttezza sia di completezza.
 
L’ 89,2% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 10,5% nelle case di cura e solo lo 0,1% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio, etc). Naturalmente nelle Regioni in cui è rilevante la presenza di strutture private accreditate rispetto alle pubbliche, le percentuali sono sostanzialmente diverse. Il 63,9% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui. Tali strutture, in numero di 173 rappresentano il 37% dei punti nascita totali. Il 5,8% dei parti ha luogo invece in strutture che accolgono meno di 500 parti annui.
 
Nel 2016, il 21% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Tale fenomeno è più diffuso nelle aree del Paese con maggiore presenza straniera, ovvero al Centro-Nord, dove più del 25% dei parti avviene da madri non italiane; in particolare, in Emilia Romagna e Lombardia, il 32% delle nascite è riferito a madri straniere. Le aree geografiche di provenienza più rappresentate, sono quella dell’Africa (25,9%) e dell’Unione Europea (25,4%). Le madri di origine Asiatica e Sud Americana costituiscono rispettivamente il 18,6 % ed il 7,6% delle madri straniere.
 
L’età media della madre è di 32,8 anni per le italiane mentre scende a 30,2 anni per le cittadine straniere. I valori mediani sono invece di 33 anni per le italiane e 30 anni per le straniere. L’età media al primo figlio è per le donne italiane, quasi in tutte le Regioni, superiore a 31 anni, con variazioni sensibili tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 28,3 anni.
 
Delle donne che hanno partorito nell’anno 2016 il 44,2% ha una scolarità medio alta, il 28 % medio bassa ed il 27,8% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (45,9%).
 
L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 55,3% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 29,3% sono casalinghe ed il 13,3% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2016 è per il 51,7% quella di casalinga a fronte del 62,2% delle donne italiane che hanno invece un’occupazione lavorativa.
 
Nell’85,3% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 74,6% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita oltre il primo trimestre di gravidanza è pari al 2,5% mentre tale percentuale sale al 11,2% per le donne straniere. Le donne con scolarità medio-bassa effettuano la prima visita più tardivamente: la percentuale di donne con titolo di studio elementare o senza nessun titolo che effettuano la prima visita dopo l’11° settimana di gestazione è pari al 11,7% mentre per le donne con scolarità alta, la percentuale è del 2,6%. Anche la giovane età della donna, in particolare nelle madri al di sotto dei 20 anni, risulta associata ad un maggior rischio di controlli assenti (3,3%) o tardivi (1° visita effettuata oltre l’undicesima settimana di gestazione nel 13,8% dei casi). Nell’ambito delle tecniche diagnostiche prenatali invasive sono state effettuate in media 7,1 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato nel 22,52% dei casi.
 
La donna ha accanto a sé al momento del parto (esclusi i cesarei) nel 92,2% dei casi il padre del bambino, nel 6,4% un familiare e nell’1,4% un’altra persona di fiducia. La presenza di una persona di fiducia piuttosto che di un’altra risulta essere influenzata dall’area geografica.
 
Si conferma il ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. In media, nel 2016 il 33,7% dei parti è avvenuto con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. Rispetto al luogo del parto si registra un’elevata propensione all’uso del taglio cesareo nelle case di cura accreditate, in cui si registra tale procedura in circa il 50,9% dei parti contro il 31,7% negli ospedali pubblici. Il parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza italiana rispetto alle donne straniere: si ricorre al taglio cesareo nel 27,8% dei parti di madri straniere e nel 35,4% dei parti di madri italiane.
 
L’1% dei nati ha un peso inferiore a 1.500 grammi ed il 6,4% tra 1.500 e 2.500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 99,4% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10.
 
Sono stati rilevati 1.320 nati morti corrispondenti ad un tasso di natimortalità, pari a 2,78 nati morti ogni 1.000 nati, e registrati 4.835 casi di malformazioni diagnostiche alla nascita. L’indicazione della diagnosi è presente rispettivamente solo nel 32,3% dei casi di natimortalità e nel 87% di nati con malformazioni.
 
Il ricorso ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta effettuato in media 1,93 gravidanze ogni 100 (9.017 parti). La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI).
 
I parti classificabili secondo Robson sono complessivamente pari a livello nazionale a 450.400, corrispondenti al 97% del totale dei parti avvenuti nei punti nascita pubblici, equiparati e privati accreditati. Le classi più rappresentate sono quelle delle madri primipare a termine, con presentazione cefalica (classe 1) e delle madri pluripare a termine, con presentazione cefalica e che non hanno avuto cesarei precedenti (classe 3); queste due classi corrispondono complessivamente a circa il 54,2% dei parti classificati che si sono verificati a livello nazionale nell’anno 2016. Si evidenzia inoltre che i parti nella classe 5, relativa alle madri con pregresso parto cesareo, rappresentano il 12,6% dei parti totali classificati a livello nazionale. L’analisi del ricorso al taglio cesareo nelle classi di Robson evidenzia un’ampia variabilità regionale nelle classi a minor rischio, che includono in tutte le Regioni una percentuale molto elevata delle nascite, confermando la possibilità di significativi miglioramenti delle prassi organizzative e cliniche adottate nelle diverse realtà.
12 settembre 2019
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