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Rc sanitaria. Rapporto Ania. Le Regioni scelgono il “fai da te” e le compagnie assicuratrici arretrano
Cala del 4,3% la stima dei premi nelle strutture, ma cresce del 3,6% quella totale. In Toscana, Liguria, Puglia, Basilicata e Sicilia le compagnie escono di scena, sostituite da forme di autoassicurazione o non assicurazione. Nelle altre regioni prevale un sistema misto in cui si ricorre a una polizza soltanto per coprire i sinistri di importo maggiore. Il Rapporto.
24 LUG - Scelta drastica per le regioni italiane che preferiscono l’autoassicurazione o addirittura la non assicurazione per fronteggiare i rischi di responsabilità civile nei casi di malasanità. Valle d’Aosta e la Provincia di Bolzano sono le uniche a puntare completamente sul mercato assicurativo per rimanere indenni dagli effetti degli errori medici, mentre tutti gli altri gli enti locali gestiscono per proprio conto le richieste di risarcimenti con schemi regionali o affidati alle singole Asl. Nei rari casi in cui si rivolgono ad un assicuratore, è soltanto per coprire i sinistri di maggiore entità, cioè quelli di importi superiori ai 250-500 mila euro.

È quanto emerge dal dossier Ania “Malpractice, il grande caos”, presentato oggi a Roma alla presenza del presidente dell’Ania Aldo Minucci, del direttore generale Dario Focarelli e del direttore centrale del settore vita, danni e servizi, Roberto Manzato.
Lo studio evidenzia che nel corso del 2012 sono state registrate 31.200 denunce di sinistri, segnando un lieve calo (-0,8%) nel confronto con il 2011. Una diminuzione più marcata (-8%) rispetto al 2010, anno in cui le richieste di risarcimento raggiunsero un vero e proprio exploit.
Complessivamente il bilancio tecnico del ramo continua a evidenziare un significativo squilibrio, con un rapporto sinistri a premi pari al 122% nel 2012, anche se meno marcato rispetto al decennio scorso.

Esempio emblematico di abbandono dello strumento assicurativo è quello della Sicilia: la polizza in essere, disdettata a fine 2013, è scaduta dal primo luglio scorso lasciando prive di protezione le Asl locali, senza che venisse costituito uno specifico fondo. Bisogna comunque segnalare che dal 14 agosto entrerà in vigore l’obbligo di assicurazione dai rischi di r.c. professionale per i medici, tranne che per i dipendenti del Ssn.
Il minore ricorso alle assicurazioni comporta un più debole sistema di garanzie: i risarcimenti sono più lenti e meno equi e il personale sanitario corre rischi maggiori.

Tuttavia i cambiamenti del sistema sono stati rapidissimi. Basti pensare che un’indagine parlamentare sugli errori medici conclusa all’inizio del 2013 mostrava che il 72,2% delle Asl italiane risultava ancora coperto da una polizza. Trasformazioni così radicali sono dovuti all’ aumento nei costi dei risarcimenti e alla difficoltà a stimare i rischi. Allo stato attuale il mercato della r.c sanitaria è dominato da un assicuratore statunitense che detiene una quota di mercato superiore al 50%.

A fine 2012 la stima dei premi nelle coperture assicurative di ospedali e strutture sanitarie per la prima volta ha mostrato un decremento, segnando -4,3% a 288 milioni nonostante i presumibili significativi aumenti tariffari resi necessari per fronteggiare le continue perdite del ramo. Includendo anche le polizze sottoscritte direttamente dai medici (255 milioni, +14%) nel 2012 sono stati incassati premi per complessivi 543 milioni (+3,6% rispetto all’anno precedente).

La stima dei sinistri denunciati alle imprese di assicurazione italiane nel 2012 è risultata pari a 31.200 (di cui 19.500 relativi a polizze stipulate dalle strutture sanitarie), con una lieve riduzione (0,7%) rispetto all’anno precedente. Il rapporto tra sinistri e premi (loss ratio) per le varie generazioni di sinistri si attesta al 173%. Per ogni 100 euro di premi incassati, cioè, le compagnie ne hanno pagati (o stimano di pagarne) 173 sotto forma di risarcimenti. Tuttavia, mentre fino al 2005 il disavanzo tecnico aveva assunto valori particolarmente elevati, con un rapporto tra sinistri e premi giunto a superare il 310%, negli ultimi anni lo squilibrio è risultato più contenuto. In particolare per il 2012, secondo le valutazioni preliminari, il loss ratio si è attestato al 122%.

“Gli assicuratori italiani intendono tornare a svolgere pienamente il proprio ruolo nella copertura dei rischi medici – ha sottolineato il presidente dell’Ania Aldo Minucci – dando certezze ai pazienti vittime di eventi avversi e ai medici che svolgono la loro attività. Per far questo però occorre rimuovere le cause di fondo che hanno reso ingovernabile il fenomeno della malpractice. In particolare è necessario intervenire per: circoscrivere la responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie; attuare idonee misure di gestione del rischio attraverso la nomina di un risk manager in tutti gli ospedali; porre un tetto ai danni non patrimoniali con l’approvazione delle tabelle di risarcimento dei danni biologici; definire linee guida mediche validate anche per contrastare il fenomeno della medicina difensiva che pesa per oltre l’11% sulla spesa sanitaria”.

Ma quali sono le criticità da risolvere? Il Rapporto Ania le ha messe nero su bianco:
 
Approccio atipico dei tribunali italiani nel definire i casi malasanità. Per effetto delle sentenze della Corte di Cassazione succedutesi dal 1999 ad oggi medici e strutture sanitarie sono stati considerati assoggettabili ad una responsabilità contrattuale, ciò che comporta l’inversione dell’onere della prova (posta a carico dei sanitari), la dilatazione dei tempi di prescrizione da 5 a 10 anni. Ed anche una sorta di garanzia di risultato sulle cure prestate. Se queste non sortiscono l’effetto sperato si può essere chiamati a risponderne. Nella gran parte dei paesi europei, invece, vengono indennizzati soltanto i danni causati dagli errori medici, che il paziente deve provare di aver subito. Normalmente ad un medico che si attiene alle linee guida professionali non è imputabile alcunchè;
 
Mancanza di linee guida mediche validate a livello nazionale e riconosciute dai giudici. Nel recente decreto Balduzzi (2012) vi è una specifica previsione in tal senso ma non è stata seguita da norme interpretative in grado di fare ordine tra i differenti protocolli e codici professionali in vigore per i sanitari, al fine di escludere la loro responsabilità;
 
Mancanza di un tetto alla risarcibilità dei danni non patrimoniali. Il decreto Balduzzi imponeva l’adozione delle medesime tabelle previste per i sinistri nella r.c. auto (per il danno biologico) ma il relativo decreto, in discussione da sei anni e già passato al vaglio di numerosi dicasteri, deve ancora essere approvato dal Consiglio dei Ministri;
 
Mancanza di procedure di risk management omogenee a livello nazionale per prevenire i sinistri. Gli studi condotti sul campo mostrano che oltre il 50% degli “eventi avversi” sono evitabili utilizzando lo strumento della prevenzione;
 
Carenza di basi statistiche sui sinistri. L’agenzia pubblica Agenas ha il compito di raccogliere e classificare le richieste di risarcimento ma non sempre le Asl sono state finora diligenti nel trasmettere i dati cosìcché quella banca dati è ancora largamente incompleta. La rilevazione dell’Ania rappresenta tuttora la fonte informativa più importante sul mercato assicurativo della malpractice però è, in parte, frutto di stime perché non tutte le compagnie straniere operanti in Italia mettono a disposizione i propri dati. L’Ivass (il regulator assicurativo) potrebbe assumere iniziative per consolidare e rendere pubbliche le informazioni del settore, anche per le compagnie operanti in Italia in libertà di stabilimento o libera prestazione dei servizi;
 
Mancanza di chiare regole impartite alle regioni che decidono di coprire per proprio conto il rischio di malasanità. Manca, in particolate, un obbligo a costituire fondi appropriati, sul modello delle riserve assicurative. Tutto ciò espone gli enti locali, a causa del lungo iter dei sinistri prima di venire risarciti, al rischio di accumulare nel tempo impegni ingenti di ammontare pari se non superiore a quelli che negli anni passati hanno messo a soqquadro i bilanci regionali che hanno fatto ricorso a prodotti finanziari derivati;
 
Diffuso ricorso alla medicina difensiva da parte dei sanitati al fine di limitare i rischi legali connessi alle richieste di risarcimento. Secondo la principale ricerca condotta in materia, e che risale al 2010, la medicina difensiva pesa per circa l’11,8% nella spesa sanitaria complessiva. Un onere di circa 13 miliardi che potrebbe essere significativamente ridimensionato affrontando le cause che hanno dilatato il fenomeno della malpractice medica.
 
Sconsolante è infine il confronto con le principali esperienze estere. In molti paesi, tra i quali Usa, Gran Bretagna, Francia, Nuova Zelanda e Irlanda, riforme organiche in materia sono state decise tra il 2000 ed il 2003 ed il fenomeno della medical malpractice non rappresenta più un’emergenza.
24 luglio 2014
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