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Il “sistema sangue” eccellenza italiana, nel 2020 sfide e celebrazioni. Intervista a Liumbruno, Direttore del Cns
Tra obiettivi raggiunti come l’autosufficienza sangue, e quelli da conquistare come l’indipendenza dal mercato internazionale del plasma, il modello italiano, basato sulla donazione volontaria, anonima, non remunerata, si rivela un punto di riferimento mondiale. Tant’è che Roma ospiterà il 14 giugno il World Blood Donor Day. La sfida ora è quella di allargare la base dei donatori, trovare donatori giovani e arrestare il calo di medici trasfusionisti
14 GEN - Il sistema sangue italiano? Un’eccellenza, senza se e senza ma. Soprattutto considerando che il suo motore propulsivo sono le associazioni di volontariato accreditate con il Ssn. Un unicum nel panorama mondiale. In Italia, a differenza di altri Paesi, Usa in primis, grazie alla donazione volontaria, non remunerata e periodica di oltre 1,7 milioni di donatori, è stata infatti raggiunta l’autosufficienza di sangue al 100% e viene assicurata la produzione di più di un milione di chili di plasma, l’80% dei quali vengono inviati all’industria per produrre medicinali salvavita plasma derivati, fondamentali per una serie di patologie, dall’emofilia ad alcune immunodeficienze.

Non è un caso che proprio il ministro della Salute Roberto Speranza abbia ribadito l’importanza delle donazioni che “salvano la vita di circa 630mila persone all’anno solo in Italia, in media circa una al minuto”. Soprattutto non è un caso che l’Italia sia stata scelta dall’Oms come sede per ospitare, il 14 giugno prossimo all’Auditorium di Roma, la giornata mondiale della donazione di sangue.

Ma guai ad abbassare la guardia. C’è un obiettivo strategico raggiungere, come ha spiegato in questa intervista a tutto campo Giancarlo Maria Liumbruno, Direttore del Centro nazionale sangue: “Arrivare all’autosufficienza di plasma per conquistare l’indipendenza dal mercato internazionale dominato dagli Usa che gestiscono il 71 per cento delle donazioni di plasma mondiali”. Un dominio che si regge sullo sfruttamento intensivo dei donatori, una strategia rigettata con forza dall’Italia e appoggiata in pieno anche da milioni di donatori di 81 Paesi.
 
Dottor Liumbruno, l’Oms ogni anno celebra il 14 giugno il World Blood Donor Day. Per l’edizione 2020, il comitato organizzatore, quindi Oms, Croce rossa internazionale, Associazione mondiale di medicina trasfusionale e Fiods che rappresenta 25 milioni di donatori nel mondo, ha scelto come sede l’Italia. Cosa vuol dire per il nostro Paese?
È un grande riconoscimento per il sistema sangue italiano. Per due ordini di motivi. Da un lato, attesta e conferma la bontà del nostro modello, che a differenza di altri Paesi si basa totalmente sulla donazione volontaria, non remunerata e periodica e, grazie agli oltre 1,7 milioni di donatori, garantisce l’autosufficienza di sangue riuscendo a produrre più di un milione di chili di plasma, l’80% dei quali, circa 850 tonnellate, vengono inviati all’industria per produrre medicinali salvavita plasma derivati. Dall’altro lato, ospitare la giornata mondiale della donazione di sangue, consente di realizzare un’azione di benchmarking con altri Stati, in particolare con quei Paesi in via di sviluppo, che hanno modelli profondamente differenti dal nostro, basati sul ricorso al donatore familiare quando c’è bisogno di sangue, o sul reclutamento dei donatori di plasma attraverso la remunerazione, come avviene anche in alcuni Paesi europei.

Possiamo dire che il modello italiano costituisce un unicum?
Visti i risultati, sicuramente sì. In Italia il Ssn ha affidato interamente la gestione del procurement di sangue al mondo del volontariato, un valore aggiunto importantissimo. La rete trasfusionale pubblica è strettamente collegata con quella del volontariato, c’è un’integrazione totale sia a livello nazionale sia regionale. Grazie alla donazione volontaria e gratuita di sangue possiamo trasfondere, ogni giorno, più 1.700 pazienti. Abbiamo quindi, come già detto, raggiunto l’autosufficienza al 100% per i globuli rossi.
Per quanto riguarda invece la donazione di plasma, abbiamo varato nel 2016 un Programma quinquennale nazionale che va sempre di più verso l’autosufficienza. In piena sintonia con le organizzazioni di volontariati ci siamo dati degli obiettivi di crescita che abbiamo raggiunto, se non addirittura superato. Ora puntiamo a produrre 860 mila chili di plasma da consegnare nel 2021 alle industrie convenzionate con le Regioni per la produzione di medicinali plasmaderivati.
Su 3 milioni di emocomponenti che complessivamente ogni anno raccogliamo, 1 milione viene ottenuto direttamente dalle associazioni di volontariato accreditate con il Ssn, che confermano il loro ruolo strategico.

Quanto è importante conquistare l’autosufficienza di plasma?
È fondamentale se vogliamo raggiungere l’indipendenza dal mercato internazionale. Un obiettivo strategico non solo per l’Italia, ma per l’Europa. Mi spiego, grazie al plasma messo a disposizione delle industrie, si possono produrre farmaci salvavita fondamentali per una serie di patologie, dall’emofilia ad alcune immunodeficienze. Attualmente noi acquistiamo dal mercato estero il 38% delle albumine e il 24% delle immunoglobuline. Un mercato dominato dagli Usa che raccoglie il 71% del plasma prodotto al mondo, a fronte di una copertura europea che assicura appena il 10% del fabbisogno mondiale, con circa 80mln di litri prodotti.
Il problema è che il mercato internazionale può avere temporanee carenze di alcuni prodotti (come peraltro già avvenuto in passato) o anche andamenti discontinui. Inoltre vende solo se gli conviene. Tradotto, solo chi arriva prima e offre il miglior prezzo potrà assicurarsi il proprio fabbisogno di medicinali plasmaderivati, gli altri rimarranno tagliati fuori. Un rischio che non possiamo permetterci, soprattutto se si affacciassero sulla scena, nuovi grandi potenziali acquirenti come Cina e India. Dobbiamo perciò garantirci l’autosufficienza per non chiedere ad altri.

La soluzione?
Lavorare per allargare la base dei donatori, anche perché non si può intensificare la frequenza dell’attività di donazione di plasma come avviene invece negli Usa. Questa è la nostra strategia che si basa sulla promozione della donazione di plasma e non sullo sfruttamento intensivo dei donatori. Il Civis (che rappresenta il milione e settecentomila donatori italiani) e il Cns l’hanno condivisa recentemente anche con l’Edqm (European Directorate for the Quality of Medicines), manifestando la loro contrarietà ad aumentare il numero minimo di donazioni di plasma raccomandate (in Europa) da 33 (attuali) a 60. Questa posizione è stata anche sostenuta dalla Fiods, che rappresenta 18 milioni di donatori di 81 Paesi (vedi documenti allegati 1 - 2). Nel mondo ci sono circa un milione e mezzo di donatori di plasma remunerati. Persone che arrivano ad effettuare ben 104 donazioni annue di plasma (in Italia il limite è di 20 l’anno), ossia due donazioni alla settimana. Una pratica poco sicura sia per i donatori, sia per la qualità della materia prima. Oltre ad incentivare un mercato che sfrutta le persone le quali, solo per trovare sostentamento economico, si sottopongono a donazioni frequenti rischiose per la propria salute.

Insomma, possiamo dire che non solo il sistema italiano funziona, ma è anche politically correct. Tutto bene o ci sono criticità da affrontare?
Ogni sistema è sicuramente perfettibile. Sul fronte della donazione di sangue abbiamo avuto in passato delle criticità durante la stagione influenzale che ha costretto a letto molti donatori provocando quindi una temporanea flessione dell’attività. Ma grazie alle vaccinazioni antinfluenzali gratuite per i donatori abbiamo superato l’impasse: già l’anno passato non abbiamo avuto problemi e anche per i prossimi mesi le previsioni sono ottimistiche. Ci sono le problematiche legate all’estate, per superarle bisognerà lavorare sulla programmazione regionale consentendo ad esempio ai donatori di prenotare anticipatamente la poltrona. Un’altra grande criticità è sicuramente l’invecchiamento dei donatori: la sfida sarà quella di trovare donatori giovani sensibilizzando le generazioni future. Le Associazioni stanno per firmare un protocollo d’intesa con il Miur proprio per favorire la promozione e la diffusione della cultura del dono nelle scuole.
E ancora, per aumentare le donazioni bisognerebbe anche possibilmente ampliare gli orari di apertura dei centri trasfusionali nelle strutture pubbliche andando così incontro alle esigenze dei donatori. Una flessibilità di orario che può essere però garantita solo con un organico sufficiente. Purtroppo, il sistema, attualmente, manca di circa 500 dei 1.800 medici trasfusionisti che compongono lo staff medico della rete trasfusionale pubblica. Per questo, insieme ai rappresentanti del mondo accademico, abbiamo chiesto alle Regioni di aumentare le borse di specializzazione in ematologia e in patologia clinica. La rete trasfusionale è un supporto per le altre discipline e non può venire meno.

Ester Maragò


 
14 gennaio 2020
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