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Giornata mondiale delle malattie reumatiche. Le proposte di Apmarr
Il 12 ottobre si celebra in tutto il mondo la World Arthritis Day. Tempo di bilanci e di nuovi progetti, come quelli presentati da Apmarr in un convegno tenutosi in Senato, alla presenza del vice Ministro della Salute Pierpaolo Sileri. Tanti i temi caldi sul tavolo: dalla mancata applicazione del Piano Nazionale Cronicità, alle difficoltà dell’accesso, alle liste d’attesa, alle delibere regionali che vincolano la libertà prescrittiva dei medici. E ancora, la transizione dall’età pediatrica a quella adulta, la gravidanza per una donna con una malattia reumatica e il tema del lavoro e delle tutele.
13 OTT - A settembre in Sardegna le persone con malattie reumatiche ‘guariscono’. E’ una boutade per esprimere in maniera pacata il grido d’aiuto che viene da una Regione dove, avendo esaurito il budget a disposizione, da settembre in poi non ci sono più fondi per acquistare i biologici. ‘A 18 anni i nostri figli con malattie reumatiche guariscono’. Altro esempio di ‘vanishing patient’, di paziente che scompare dai radar, è quello impegnato nella transizione dall’età pediatrica a quella adulta, portandosi dietro il fardello di una patologia cronica (in questo caso una malattia reumatica, ma il discorso vale per tutte le patologie croniche) senza che qualcuno abbia disegnato un percorso o creato la figura del transition manager, proposto dall’Eular.

Sono solo due dei temi trattati nell’arco di una mattina affollata di key opinion leader e di tanti argomenti che APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare), come tutti gli anni in occasione della giornata mondiale delle malattie reumatiche, mette insieme. Per creare un dialogo costruttivo, fare brainstorming e cercare di trovare una soluzione a situazioni complesse.

Il popolo delle malattie reumatiche (5 milioni di persone in Italia, delle quali 700 mila affette da una forma grave) trova così in APMARR un valido paladino e un faro nella nebbia rispetto alle mille criticità che queste persone sono costrette ad affrontare tutti i giorni. Per la loro malattia certo, ma anche per la scarsa organizzazione dei percorsi sanitari, per le difficoltà dell’accesso (dalle liste, d’attesa ai farmaci), per la scarsa informazione anche rispetto ai loro diritti (come quelli nel mondo del lavoro) e, last but not least, per le desolanti lungaggini prodotte da una burocrazia decisamente non all’altezza di un Paese civile nel terzo millennio.

“L’obiettivo primario di APMARR – ricorda la Presidente Antonella Celano- è adoperarsi affinché queste patologie trovino la giusta dignità ed attenzione presso l’opinione pubblica e la classe politica. La Giornata Mondiale è l’occasione per fare tutti insieme un aggiornamento su come stanno andando le cose, sulle criticità ancora in essere e per fare proposte e programmi per il futuro. La giornata mondiale delle malattie reumatiche, che si celebra il 12 ottobre, è infatti un po’ il nostro Capodanno. Si tirano le somme dell’anno appena trascorso e si mettono in piedi i nuovi progetti. Obiettivo di questo incontro è fornire ai nostri decisori politici strumenti concreti per porre in essere azioni rapide e incisive, volte al miglioramento della qualità di vita delle persone. Ma anche arrivare all’opinione pubblica con modalità di comunicazione tradizionali  e innovative”.

“Il ruolo delle Associazioni – afferma il vice Ministro della Salute Pierpaolo Sileri, intervenendo al convegno organizzato da APMARR – è prezioso anche nel dialogo con le Istituzioni. Il Piano Nazionale Cronicità non è ugualmente applicato, né finanziato, a livello nazionale. E’ nostro compito vigilare, correggere la rotta, appianare le ineguaglianze da Regione a Regione, spingere le Regioni ad attuare il piano, liberando risorse. Carenze di specialisti, liste d’attesa, migrazione sanitaria, contribuiscono tutte a far perdere l’appuntamento con la diagnosi precoce. Vogliamo potenziare l’introduzione di medici specialisti per garantire salute sul territorio. Anche rispetto ai farmaci innovativi la nostra posizione non è quella di considerarli un costo. Non possono essere giudicati solo sulla base del loro prezzo, ma è necessario allargare la valutazione al benessere che generano e che può ad esempio restituire un paziente all’attività lavorativa”.

 
Con la presentazione del secondo rapporto ‘Vivere con una malattia reumatica’, realizzato da Matteo Santopietro di WeResearch e ripreso da un’inchiesta giornalistica realizzata da Maria Giovanna Faiella per Corriere Salute (risultata tra l’altro vincitrice della prima edizione del premio giornalistico APMARR), la giornata APMARR è iniziata prendendo le misure al problema. Almeno relativamente alla percezione delle persone con malattie reumatiche (1.020 le interviste realizzate) rispetto alla presa in carico della loro malattia e dei loro diritti. Ne emerge uno spaccato desolante; il 70% ritiene ‘insufficienti’ i centri di reumatologia esistenti; pochi gli specialisti rispetto alle necessità e al numero dei pazienti; inevitabili le ricadute in termini di ‘migrazione sanitaria’ da una regione o da una provincia all’altra e sui tempi delle liste d’attesa che, in alcuni casi, arrivano a 5 mesi. Ma dall’indagine emerge anche una scarsa conoscenza dei pazienti rispetto alle loro tutele nel mondo del lavoro e alle agevolazioni a loro riservate (vedi leggi 68/99 e 104). A ignorarle è il 60% di loro e le meno informate sono le donne, le più colpite da queste patologie. C’è chi non conosce neppure il proprio grado di invalidità e comunque, lo spettro delle lungaggini burocratiche tiene lontano dalla richiesta di agevolazioni ed esenzioni anche molti tra i ben informati.
 
Ma il lavoro è una cosa seria. Anche per chi è affetto da una patologia reumatica. “Il lavoro – ricorda il giuslavorista Michele Tiraboschi, ordinario di Diritto del lavoro e direttore del centro studi DEAL (Diritto, Economia, Ambniente , Lavoro) presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico di ADAPT – fa parte della qualità della vita, come anche il mantenerlo in caso di malattia. Essere in salute significa non solo benessere, ma anche avere un lavoro e far parte di una comunità”. Il lavoro insomma  non serve solo a guadagnarsi da vivere ma è anche un vero e proprio status esistenziale. Che va salvaguardato anche e soprattutto in presenza di una malattia cronica. “E’ necessario – prosegue Tiraboschi - che i lavoratori siano a conoscenza delle loro tutele, dei loro diritti. Mentre troppo spesso sono reticenti a comunicare il loro problema all’azienda. Azienda che dovrebbe diventare luogo di prevenzione; i piani di welfare aziendale dovrebbero prevedere campagne di salute, politiche di prevenzione, di wellness at work”. Fondamentali oggi più che mai con l’allungamento della vita lavorativa e l’allontanamento dell’età pensionistica.  “Il tema degli ‘accomodamenti ragionevoli’ – prosegue il giuslavorista – è sconosciuto alla nostra cultura del lavoro. Mentre è arrivato il momento di conciliare i tempi di vita del lavoro col tema della salute. Le aziende dovrebbero attrezzarsi con professionalità in grado di gestire la malattia in azienda, creando nuovi profili professionali”.
 
Numeri, indagini statistiche e inchieste giornalistiche. Ma i pazienti sono innanzitutto persone. A ridare anima e colore a questi ‘ologrammi’ provvede la medicina narrativa, una crasi illuminata di scienza medica e humanities, che mira a ragionare sul caso singolo e che, sempre più, sta prendendo piede anche in Italia. Esprimendosi con un suo proprio linguaggio. “Per la medicina narrativa - spiega Andrea Tomasini della Società Italiana di Medicina Narrativa, SIMeN – disease è la patologia intesa in senso clinico, illness è l’esperienza soggettiva di questa malattia (c’è chi la indica con un neologismo malatezza), mentre sickness è l’organizzazione della malattia dal punto di vista della socialità”. Medicina narrativa come strumento di ascolto del paziente, per restituire dignità e identità a chi vive in prima persona la sua malattia e la sua sofferenza, che si estrinseca nella vulnerabilità di un corpo del quale si finisce con il sentirsi prigionieri, intrappolati in un ‘prima’ e un ‘dopo’ la comparsa della malattia.
 
I nodi dell’accesso. Una tavola rotonda, è stata dedicata ai problemi dell’accesso. “Le criticità ci sono, inutile negarlo – ha esordito il professor Luigi Sinigaglia, presidente della SIR (Società Italiana di Reumatologia) – La rete è disomogenea, alcune Regioni presentano grandi vuoti, il fenomeno della migrazione sanitaria è reale e spesso si perde l’appuntamento con la diagnosi precoce, che significa in qualche caso perdere la battaglia contro la malattia. Da un’indagine su dati amministrativi condotta dalla SIR emerge che su 320 mila italiani con artrite reumatoide, solo 43 mila sono trattati con biologici; altri 27 mila sarebbero candidabili a queste terapie ma non le fanno. Eppure, stando ad un’altra indagine SIR, il biologico, tra i vari effetti, ha anche quello di restituire il paziente alla vita lavorativa. Un dato senz’altro da considerare quando si parla di sostenibilità del sistema”. “I biologi sono farmaci costosi – ammette il professor Alessandro Mugelli , presidente della Società Italiana  di Farmacologia, ma in un’ottica di sostenibilità, i biosimilari sono preziosi”. “La posizione di APMARR a questo riguardo è molto aperta – afferma Antonella Celano – Non abbiamo preclusioni assolute per i biosimilari, ci appelliamo solo alla libertà prescrittiva del medico, che è l’unico in grado di consigliare la terapia migliore per il singolo paziente. Certo, il paziente deve essere coinvolto in un processo di decisione condivisa, perché engagement ed empowerment, sono irrinunciabili.  Quello al quale ci opponiamo invece fermamente è al ‘farmaco di Stato’, alla prescrizione indotta da una delibera regionale. Un altro punto caldo è infine quello dello switch, che rischia di trasformarsi in un ‘multi-switch’, man mano che si rendano disponibili biosimilari sempre più economici. Anche questo è un problema che va valutato caso per caso”.

“L’accesso alle cure in realtà – conclude la dottoressa Gilda Sandri, vicepresidente del CREI (Collegio Reumatologi Italiani) non si esaurisce con la prescrizione della terapia. Queste persone hanno bisogno di ‘prestazioni’, di presa in carico globale. Serve lo psicologo, il fisioterapia, il terapista occupazionale, che andrebbe incluso come figura all’interno delle aziende”.
 
Malattie reumatiche e gravidanza. Fino a qualche tempo fa il ‘problema’ non si poneva neppure. La donna con una malattia reumatica non lo chiedeva al medico; il medico non ne parlava proprio. Gravidanza e malattia reumatica rappresentavano un tabù, un sogno impossibile. “Le donne con malattie reumatiche, venivano avviate, loro malgrado, alla ‘carriera’ di nullipare – ricorda il professor Florenzo Iannone, associato di Reumatologia, Università di Bari – da allora per fortuna l’atteggiamento è mutato, ma c’è ancora tanta strada da fare. La parola chiave è ‘pianificazione’; ginecologo e reumatologo devono lavorare fianco a fianco”. “L’Italia e l’Europa sono rispetto agli Usa molto più sensibili a questo argomento – ricorda la professoressa Caterina De Carolis, ginecologa -  che è invece completamente ignorato dalle linee guida americane di ginecologia e ostetricia e contemplato invece dalle linee guida Eular dal 2016”. “L’argomento gravidanza, come quello allattamento – prosegue Maddalena Pelagalli, vicepresidente APMARR, sta molto a cuore alla nostra associazione. Bene il tandem ginecologo-reumatologo, ma c’è bisogno anche dello psicologo, del nutrizionista e di altre competenze nel team”.
 
Il delicato tema della transizione dall’età pediatrica a quella adulta. La malattia è sempre la stessa, ma allo stesso tempo è completamente differente, come è diverso il paziente nel passaggio dall’età pediatrica a quella adulta.  “Da un’indagine del 2012 – ricorda il professor Domenico Tangolo, direttore sanitario dell’Ospedale Humanitas Gradenigo di Torino – è risultato che il 18% degli adolescenti ha una patologia cronica. Il sistema dunque non può non occuparsene. Sia che si tratti di una patologia reumatica, che di un’altra forma cronica. E’ necessario costruire un ponte tra queste due realtà, disegnare un percorso. Un documento Cochrane definisce la transizione un ‘movimento pianificato intenzionale’. A questo va aggiunto che i professionisti sanitari devono imparare a lavorare in gruppo, a fare visite congiunte.”

“L’Eular auspica la creazione di un transition manager – ricorda il prof. Roberto Caporali, Direttore Reumatologia Clinica dell’ASST ‘Gaetano Pini’ CTO di Milano “. “Esempi virtuosi in giro per l’Italia per fortuna non mancano – afferma Italia Agresta, referente APMARR di Bari – ma sono ancora troppo pochi. E’ importante, per il bene del paziente, che le varie figure imparino a comunicare tra loro e a lavorare fianco a fianco”.
 
Come già lo scorso anno infine, il duo di youtuber theShow ha realizzato un video (“Una rilassante e immaginifica sessione di ASMR con i theShow”)per la campagna social di APMARR, che sarà diffuso su Facebook. Il video #ReumaCHE dello scorso anno ha totalizzato un milione e mezzo di visualizzazioni su You Tube. Anche i social insomma, sono strumenti preziosi per veicolare messaggi di salute.
 
Maria Rita Montebelli
13 ottobre 2019
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