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SABCS/ 1 Tumore della mammella HER-2+: nuovo standard di cura nelle donne con malattia residua invasiva
Dal congresso San Antonio Breast Cancer (Texas) arrivano buone notizie per le pazienti con tumore della mammella HER-2 positivo e malattia residua invasiva dopo terapia neoadiuvante. In queste pazienti, il rischio di recidiva di tumore della mammella invasivo o di mortalità è risultato ridotto del 50% dall’impiego dell’anticorpo-farmaco coniugato T-DM1, rispetto al solo trastuzumab. Per gli esperti il KATHERINE è dunque uno studio practice-changing.
06 DIC - Il trattamento con il l’anticorpo-farmaco coniugato trastuzumab-emtansine (T-DM1), al posto del semplice trastuzumab, nelle pazienti con carcinoma della mammella HER-2 positivo in stadio precoce e malattia residua dopo chemioterapia neoadiuvante più trastuzumab, riduce il rischio di una recidiva invasiva  e di mortalità del 50%. Lo rivelano i risultati dello studio di fase 3 KATHERINE presentato al San Antonio Breast Cancer Symposium, in corso in questi giorni a San Antonio (Texas, Usa) e pubblicato in contemporanea sul NEJM.
 
Le pazienti con tumore della mammella HER2-positivo rappresentano circa il 15% di tutte le donne con tumore della mammella; quelle con tumori di dimensioni maggiori o con tumori metastatizzati ai linfonodi ascellari vengono in genere sottoposte a terapia con chemioterapici e trastuzumab (più di recente anche con pertuzumab) prima di andare incontro all’intervento chirurgico. Le pazienti con residuo tumorale invasivo dopo il trattamento con chemioterapia neoadiuvante più terapia a target anti-HER-2 hanno una prognosi peggiore di quella senza malattia residua, sono ad elevato rischio di recidiva e necessitano di ulteriori terapie.
 
Lo studio KATHERINE è andato a verificare se le pazienti ad alto rischio di recidiva dopo terapia neoadiuvante, la somministrazione dell’anticorpo coniugato T-DM1, al posto della terapia standard con trastuzumab, potesse ridurre il loro rischio di recidiva, al prezzo di un accettabile aumento di tossicità.
 
KATHERINE è uno studio in aperto condotto su 1.486 pazienti con carcinoma della mammella in stadio precoce, HER-2 positivo che avevano ricevuto terapia neoadiuvante con chemioterapici (taxani con aggunta o meno di antraciclina) più trastuzumab, seguita dall’intervento chirugico. Tutte le pazienti dello studio presentavano una malattia residua invasiva a livello della mammella o dei linfonodi ascellari. Entro 12 settimane dall’intervento chirurgico, le pazienti sono state assegnate in maniera randomizzata (1:1) al trattamento con T-DM1  o con trastuzumab per 14 cicli trisettimanali. Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da malattia invasiva (IDFS, Invasive Disease-Free Survival), cioè l’assenza di recidive di tumore della mammella invasivo omolaterale, di recidive di cancro della mammella invasivo loco-regionale omolaterale, di cancro della mammella invasivo controlaterale, di recidive a distanza o di mortalità per qualsiasi causa.
 
All’analisi ad interim, eventi IDFS si erano verificati nel 12,2% delle pazienti del braccio T-DM1, rispetto al 22,2% del braccio trastuzumab. La percentuale stimata di pazienti libere da malattia invasiva a 3 anni era dell’88,3% nel gruppo T-DM1 e del 77% nel gruppo trastuzumab. L’IDFS è risultata significativamente più elevata nel gruppo T-DM1, che in quello trastuzumab (HR per malattia invasiva o mortalità: 0.50). Anche gli endpoint secondari di efficacia (sopravvivenza libera da malattia e intervallo libero da recidive a distanza) hanno dimostrato una netta riduzione di eventi, clinicamente significativa, nel braccio T-DM1, rispetto al braccio di controllo. Il follow-up dello studio proseguirà ancora per valutare anche l’effetto sulla sopravvivenza.
 
 “Il T-DM1 – spiega il professor Pierfranco Conte, Ordinario di Oncologia presso l’Università di Padova (nella foto)-  e’ un antibody-drug conjugate (trastuzumab che veicola emtansine , un chemioterapico 100 volte più potente del paclitaxel). In questo studio, il trattamento con T-DM1 ha ridotto del 50% il rischio di ripresa di malattia che e’ del 77% a 3 anni con trastuzumab e dell’88,3% con TDM1. Il 18% delle pazienti ha dovuto interrompere T-DM1 precocemente per piastrinopenia o elevazione della bilirubina.
Lo studio Katherine stabilisce dunque un nuovo standard terapeutico per le pazienti con tumore mammario HER2 + ad alto rischio (tumori superiori a 2 cm e/o con linfonodi ascellari positivi clinicamente) da trattare con terapia neoadiuvante.”
 
 
“Questi risultati – commenta Charles E. Geyer, professore di medicina alla  Virginia Commonwealth University School of Medicine (Usa)– sono a mio parere ‘practice-changing’ e dovrebbero dunque gettare le basi per un nuovo standard di cura delle pazienti con carcinoma della mammella invasivo dopo terapia neoadiuvante. Lo studio Katherine dimostra che la terapia neoadiuvante può essere utilizzata per individuare pazienti a rischio aumentato di recidiva, basato su una risposta meno che ottimale alle terapie neoadiuvanti standard e che possono trarre beneficio dalla somministrazione di T-DM1”.
 
Maria Rita Montebelli
06 dicembre 2018
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