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ASH/4 A Brunangelo Falini (Università di Perugia) la medaglia ‘Henry M. Stratton’ al congresso degli ematologi americani
Uno scienziato italiano che si è fatto le ossa negli anni ’80 presso prestigiosi centri di ricerca californiani, è stato premiato al congresso dei cardiologi americani per le sue ricerche sui meccanismi di leucemogenesi della leucemia mieloide acuta e della leucemia a cellule capellute, che hanno consentito di individuare la mutazione BRAF-V600E come evento genetico causale della leucemia a cellule capellute. Grazie a questa scoperta, è messo a punto un test diagnostico ed è stata scoperta l’attività anti-leucemica del vemurafenib, un BRAF-inibitore.
05 DIC - Il professor Brunangelo Falini dell’Università di Perugia è stato premiato al congresso dell’American Society of Hematology con il conferimento della medaglia ‘Henry M. Stratton’. Un’altra eccellenza italiana premiata in un congresso pieno di presentazioni top level fatte da esperti italiani in forza a università nazionali o straniere. Il premio conferito al prof. Falini riconosce i suoi contributi dati alla ricerca di base, clinica o traslazionale in ematologia. Falini è stato premiato insieme alla dottoressa Freda K. Stevenson (Università di Southampton), co-editrice della rivista Blood (il premio è intitolato tra l’altro al co-fondatore della Grune & Stratton, la casa editrice che per prima ha pubblicato Blood).
 
Per Falini questo premio, ricevuto a San Diego ha invece un sapore da ‘amarcord’; la California è infatti lo stato dove ha lavorato negli anni ’80 con il dottor Robert J. Lukes, presso l’Università della California. Falini ha trascorso gli ultimi 15 anni a studiare la caratterizzazione molecolare della leucemia mieloide acuta (LMA) e della leucemia ‘hairy cell’ (HCL). Studiando l’espressione della proteina NPM1 nei compartimenti cellulari, attraverso un particolare anticorpo monoclonale, il ricercatore italiano ha scoperto che la NPM1 è delocalizzata in maniera aberrante nel citoplasma, in un terzo circa dei pazienti con LMA; sequenziando il gene NPM1, il suo gruppo ha scoperto la mutazione responsabile dell’espressione ectopica nel citoplasma della proteina. In questo modo, è stato individuato un nuovo meccanismo di leucemogenesi, basato su un alterato traffico nucleo-citoplasmatico della NPM1.
 
Negli anni seguenti, utilizzando il sequenziamento dell’esoma, il gruppo di Falini ha individuato la mutazione BRAF-V600E come evento genetico causale della leucemia a cellule capellute (HCL). A questo punto è stato possibile mettere a punto il primo test diagnostico molecolare per la HCL, dimostrando anche l’attività clinica di vemurafenib, un inibitore di BRAF, nei pazienti con HCL recidiva o refrattaria. Il lavoro del professor Falini continua a procedere in parallelo su due binari: da una parte, sviluppando nuovi agenti anti-leucemici, dall’altra studiando i meccanismi di resistenza. “Dal mio punto di vista – ha affermato lo scienziato italiano – il lavoro clinico e la ricerca sono inseparabili. Non significa solo traslare le scoperte dal laboratorio al letto del paziente, ma anche fare il percorso inverso.” Secondo Falini la LMA resta una priorità medica, visto che chemioterapia e trapianto allogenico di staminali ematopoietiche riescono a curare appena il 40-50% dei pazienti più giovani, mentre la prognosi per quelli più anziani è decisamente peggiore.
 
Maria Rita Montebelli
05 dicembre 2018
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