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Epatite C. Curare tutti i malati farebbe risparmiare il Ssn. Sia in termini di salute che di costi
È quanto emerso dall’analisi deii dati dello Studio Piter realizzata da Altems e Iss. La valutazione economica delle strategie per l’estensione dell’accesso ai nuovi farmaci anti epatite C è stata presentata nel corso del workshop “Il ruolo dell’HTA e dei dati real world nella scelta della migliore strategia per le politiche sanitarie a supporto dell'eradicazione dell’Hcv in Italia” organizzato nell’ambito del congresso Sihta
17 OTT - Se estendessimo il trattamento farmacologico di nuova generazione contro l’Epatite C a tutti i pazienti colpiti, non solo quindi a quelli con malattia epatica avanzata, il nostro Paese ne guadagnerebbe sia in termini di salute, sia di costo-efficacia. Considerando poi che rispetto al resto d’Europa la prevalenza dell’Hcv è particolarmente elevata, e che potenzialmente i prezzi dei nuovi farmaci potrebbero calare proprio in virtù di volumi particolarmente elevati, nel medio termine il potenziale ampliamento degli attuali criteri di rimborsabilità Aifa potrebbe portare non solo al netto miglioramento del profilo costo efficacia, ma addirittura ad un ulteriore risparmio rispetto alla spesa attuale, grazie a trapianti e ritrattamenti evitati.
 
È quanto emerso, in estrema sintesi, dall’analisi sviluppata da Altems (l’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore) e dall’Istituto superiore di sanità e finalizzata ad una valutazione economica delle strategie per l’estensione dell’accesso ai nuovi farmaci Hcv. 
 
Un’analisi presentata nel corso del workshop “Il ruolo dell’HTA e dei dati real world nella scelta della migliore strategia per le politiche sanitarie a supporto dell'eradicazione dell’Hcv in Italia: quale trade-off tra sostenibilità e priorità di sanità pubblica?”, organizzato in maniera indipendente da Altems nell’ambito del congresso Sihta, che ha coinvolto rappresentanti del mondo universitario, delle istituzioni, Iss e Agenas, clinici e associazione pazienti.
 
I numeri della malattia e i regimi terapeutici adottati. Nel mondo si stimano circa 150 milioni di persone Hcv+ e l’Italia è uno dei paesi europei con la più alta prevalenza di epatite C e di conseguenza con un elevato impatto sia sotto il profilo clinico che economico. Il problema dell’infezione da Hcv, inizialmente asintomatica, deriva principalmente dalla progressione del danno epatico da uno stadio lieve (stadio Metavir F0-F1) fino allo stato cirrotico (F4) e all’insorgere di complicanze molto gravi quali cirrosi scompensata ed epatocarcinoma che necessitano in molti casi come unica terapia risolutiva il trapianto di fegato.
 
I regimi terapeutici di nuova generazione hanno dimostrato l’eradicazione del virus in più del 95% dei pazienti infettati ed un favorevole profilo di sicurezza, tollerabilità e maneggevolezza.
 
Malgrado le ottime aspettative di efficacia, il principale ostacolo all’utilizzo su ampia scala nuovi agenti antivirali è rappresentato dai costi elevati e dall’elevato numero di pazienti che ne avrebbe bisogno. La strategia adottata dall’Aifa è stata quella di selezionare i pazienti da trattare in base alla gravità della patologia. In sostanza è prevista la rimborsabilità solo nei pazienti con stadio F3-F4.
 
Punto di partenza dello studio Altems, i dati real world dello studio di coorte multicentrico Piter pensato dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con Aisf e Simit. Un progetto che ha incluso circa 9mila pazienti arruolati consecutivamente in poco meno di 100 centri clinici distribuiti su tutto il territorio nazionale. Dati che rappresentano la prima “fotografia” italiana di pazienti con infezione cronica da Hcv “in care”. Un validissimo strumento quindi per stimolare modelli di costo efficacia e di budget impact basandosi sudati di pazienti reali italiani considerati rappresentativi della popolazione con infezione cronica da Hcv nota, diagnosticati e seguiti in centri di cura in Italia.
 
Ma cosa è emerso dall’analisi Altems-Iss? Considerando un costo medio di terapia pari a 15mila euroerealizzando un’analisi di costo utilità (che misura gli outcome in termini di Quality Adjusted Life Years, ossia anni di vita in buona salute guadagnati),trattare tutti i pazienti con Hcv consentirebbe di ottenere un rapporto costo efficacia incrementale pari a 9mila euro per Qaly rispetto che al trattare i soli pazienti più gravi (F3-F4). Tale valore può considerarsi costo-efficace perché molto al di sotto del valore soglia di accettabilità di circa 35mila euro per Qaly, formalizzato dal Nice.
 
Ciò significa che considerando nell’analisi tutta la coorte di pazienti eleggibili al trattamento (F0-F4) si riuscirebbe a guadagnare globalmente 3.500 Qaly, a fronte di un investimento incrementale di circa 30mln di euro
 
“L’obiettivo finale di questa analisi – ha spiegato Americo Cicchetti, Ordinario di organizzazione aziendale dell’Università Cattolica di Roma e Direttore di Altems – è quello di fornire informazioni ai decisori, in questo caso all’Aifa, e proprio per fornire un’informazione indipendente abbiamo lavorato con l’Iss. Sul tappeto c’è il problema della insostenibilità del sistema al quale stiamo andando incontro proprio per l’esplosione della spesa che è determinata dalle nuove terapie innovative. Dalla nostra analisi emerge che, nel caso si arrivasse ad estendere la platea delle persone in trattamento, i soldi sarebbero ben spesi. Il messaggio quindi è investiamo oggi per non spendere domani. Certo, questo è possibile nel momento in cui si mettono sul piatto le risorse adeguate”.
 
Insomma, i trattamenti per l’Hcv, che hanno costi elevati nell’immediato, potrebbero far risparmiare molto al nostro Paese nel lungo termine. “Dobbiamo considerare l’impatto economico della malattia, in termini di perdita di produttività e di qualità della vita per i pazienti con Epatite C – ha sottolineato Stefano Vella, Direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità – in termini di costi della malattia epatica residuale (che purtroppo evolve malgrado l’eradicazione del virus) e al costo di un potenziale trapianto di fegato. Inoltre trattando i malati tardivamente, quindi negli stati avanzati, sì, fermiamo l’infezione, ma il costo della malattia epatica in atto e delle tante patologie Hcv-correlate continueranno ad essere lì, per anni. In sostanza rimandare l’inizio del trattamento può essere attrattivo per le casse del Ssn, ma non tiene conto dell’effetto preventivo dei trattamenti sull’insorgenza delle complicanze e quindi dei futuri costi per il Ssn”.
17 ottobre 2016
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