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No alluso degli embrioni per la ricerca scientifica. La conferma della Corte Europea: “La legge 40 non viola i diritti umani”
Bocciato il ricorso di Adele Parrillo, vedova di Stefano Rolla, rimasto ucciso nell'attentato di Nassiriya, che si era rivolta nel 2011 alla Corte per poter donare i propri embrioni congelati ai fini della ricerca scientifica, pratica vietata dalla legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita che vige in Italia. LA SENTENZAIL VIDEO DELLA PRONUNCIA
27 AGO - "Nel caso di Parrillo contro l’Italia, relativa al divieto in Italia della donazione di embrioni per la ricerca scientifica non vi è stata violazione della Convenzione”. Così la Corte Europea dei diritti umani con una sentenza definitiva ha oggi bocciato il ricorso di Adele Parrillo, vedova di Stefano Rolla, rimasto ucciso nell'attentato di Nassiriya, che si era rivolta nel 2011 alla Corte per poter donare i propri embrioni congelati (nel 2002 la coppia aveva fatto ricorso alla fecondazione in vitro ma dopo l’attentato del 2003 la donna aveva deciso di non farsi impiantare gli embrioni) ai fini della ricerca scientifica e “per contribuire a trovare modi di curare malattie che sono difficili da trattare”. Pratica però, a prescindere dalle motivazioni vietata dalla legge 40. E dello stesso parere si sono dichiarati anche i giudici di della Grande Chambre della Corte di Strasburgo con sedici voti contro uno. Per la Corte non c’è stata “violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei Diritti umani”.
 
La Corte, è stata chiamata per la prima volta a pronunciarsi su questo problema, e ha ritenuto che l'articolo 8 era applicabile in questo caso sotto l’aspetto della "vita privata", dato che gli embrioni in questione contenevano materiale genetico di Parrillo e di conseguenza “rappresentano una parte costitutiva della sua identità”.
 
La Corte ha ritenuto, in via preliminare che l'Italia ha in ogni caso “ampio margine di manovra ("Ampio margine di valutazione") sulla delicata questione, come confermato dalla mancanza di un consenso europeo e testi internazionali in materia”.
 
I giudici hanno poi osservato che il “processo di elaborazione della legge 40/2004 ha dato luogo a notevoli discussioni e che il legislatore italiano aveva tenuto conto degli interessi dello Stato nel proteggere l’embrione e l'interesse delle persone interessate a esercitare il loro diritto all'autodeterminazione”.
 
Per la Corte “non era necessario, in questo caso, esaminare la delicata e controversa questione di quando inizia la vita umana, e come l'articolo 2 (diritto alla vita) non era in discussione”. Constatando, infine, che “non vi è alcuna prova che il defunto della sig.ra Parillo avrebbe voluto donare gli embrioni per la ricerca medica”, la Corte ha concluso che il divieto in questione è "necessario in una società democratica”.
27 agosto 2015
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