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Cure compassionevoli. Il Comitato Nazionale per la Bioetica: “Solo in casi eccezionali e se il paziente è in pericolo di vita. Ma non sono un’alternativa alla sperimentazione clinica”
Pubblicato sul sito del Governo l’ultimo parere del Cnb sulla questione dell’uso compassionevole dei farmaci. Un precedente parere nel '98 ai tempi del caso Di Bella ed oggi dopo il caso Stamina. Per il Comitato, tra l'altro, “va usata un’espressione diversa da ‘cure compassionevoli’, per non confonderle con legittimi sentimenti di empatia nei confronti di malati gravi e incurabili”. IL PARERE.
28 MAR - Il 26 marzo scorso è stato pubblicato dal Governo il parere del Comitato nazionale per la bioetica “Cura del caso singolo e trattamenti non validati (c.d. “uso compassionevole”)”, approvato dal Cnb il 27 febbraio 2015. Il parere è stato elaborato nell'ambito di un gruppo di lavoro coordinato dai professori Assunta Morresi e Salvatore Amato
 
Al centro del parere il tema dei trattamenti terapeutici non validati dalle autorità regolatorie. Obiettivo del Cnb è quello di inserire “un ulteriore tassello nell’analisi dei diversi profili del diritto alla salute, dalla libertà di cura al consenso informato, e al rapporto medico-paziente”.
 
“In particolare - si legge nella presentazione del parere - l’uso di prodotti teoricamente validabili, ma non ancora verificati nella loro efficacia e sicurezza per un uso specifico, è già stato affrontato marginalmente dal Comitato, nel 1998, in una breve “risposta” al Comitato Etico dell'Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro in occasione del cosiddetto “caso Di Bella”.
 
“Si trattava – ricorda oggi il Cnb - di una terapia alternativa per la cura dei tumori che avveniva attraverso la prescrizione di una pluralità di farmaci “offlabel”, cioè impiegati per indicazioni, modalità o dosaggi diversi da quelli autorizzati”.
 
“L’insieme della terapia – ricorda ancora il Cnb - non aveva un fondamento scientifico ed era stata definita come “ricorso alla prescrizione estemporanea” dalla stessa Legge 1998/94 che il legislatore aveva emanato, sotto la pressione dell’opinione pubblica e di numerosi interventi giudiziali, per realizzare una verifica sperimentale delle sue pretese capacità terapeutiche”.
 
“A distanza di diversi anni – continua il Cnb - il cosiddetto “caso Stamina” ha riproposto i medesimi problemi: inadeguatezza delle basi scientifiche, pressione dell’opinione pubblica, intervento dei giudici, misure normative estemporanee per consentire una sperimentazione controllata. A differenza del “caso Di Bella” in quest’ultima vicenda non era in discussione l’applicazione combinata di farmaci già studiati, ma addirittura l’impiego in singoli pazienti di un trattamento non ancora autorizzato e in gran parte sconosciuto”.
 
Ma “il presente documento – sottolinea il Cnb - trae soltanto spunto da questa vicenda, il cui percorso giudiziario non è ancora concluso al momento della stesura del presente parere”. 
 
Ecco l’abstract del parere, per il testo completo clicca qui:
“Il parere affronta il tema del cosiddetto “uso compassionevole” dei farmaci, cioè dell’impiego di trattamenti individuali o di gruppo, per pazienti con patologie serie e spesso letali, nel caso in cui i medici ritengano che quel tipo di terapia non abbia alternative e possa arrecare benefici o miglioramenti alle condizioni di vita.
 
Non si discute di un’alternativa ai noti percorsi approvati e condivisi di sperimentazione farmacologica, ma di prevedere un’eccezione, in situazioni particolari e rigorosamente circoscritte, per offrire alla speranza di sopravvivenza dei pazienti tutte le risorse disponibili.
 
Questa situazione crea difficili problemi nella valutazione scientifica, nell’assunzione delle responsabilità, nella distribuzione delle risorse, nella valutazione del consenso informato. Per delineare un quadro il più completo possibile di questa articolata problematicità, il testo affronta la tematica dai punti di vista del paziente, dei medici e delle istituzioni. Il Comitato auspica che sia usata un’espressione diversa da “cure compassionevoli”, per non confonderle con legittimi sentimenti di empatia nei confronti di malati gravi e incurabili.
 
L’alternativa proposta è “trattamenti non validati a uso personale e non ripetitivo”, con l’auspicio che un “consensus conference” internazionale possa promuoverne l’uso.
 
L’accesso a tali trattamenti deve avere il carattere dell’eccezionalità, in assenza di terapie validate, in casi gravi di urgenza e emergenza per un paziente in pericolo di vita, e non possono mai essere un’alternativa, esplicita o surrettizia, alla sperimentazione clinica.
 
Devono comunque avere una ragionevole e solida base scientifica: dati pubblicati su riviste internazionali di tipo peer-review, con evidenze scientifiche robuste, almeno su modelli animali e possibilmente risultati di sperimentazioni cliniche di fase I.
 
La prescrizione deve essere a carico di un panel di esperti, designati da istituzioni sanitarie pubbliche, in condizioni di totale trasparenza: assenza di conflitti di interesse, pubblicazione sia della composizione dei prodotti che dei risultati del trattamento, spiegazione esauriente ai pazienti sulla potenziale pericolosità di trattamenti non validati, onere dei farmaci a carico dei produttori e monitoraggio effettuato da istituzioni sanitarie pubbliche.
 
Solo in queste condizioni i trattamenti “compassionevoli” si possono ritenere eticamente leciti e rientrano nel diritto generale alla salute. Il parere è completato da una dettagliata nota giuridica”.
28 marzo 2015
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