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“Non è sempre un’alternativa ma un’ulteriore opportunità di cura”: intervista a Lisa Licitra del Cnao di Pavia
18 FEB - Secondo un nuovo studio, che si basa sui rapporti di Health Technology Assessment, non ci sono abbastanza prove di un beneficio dell’adroterapia rispetto alla radioterapia convenzionale. Ne parliamo con Lisa Licitra, direttore scientifico del Centro nazionale di adroterapia oncologia (Cnao) di Pavia, uno dei sei al mondo in grado di erogare l’adroterapia con protoni e ioni carbonio.
 
Quali casi trattate nel vostro centro?
Al Cnao vengono trattati tumori solidi radioresistenti di varie sedi, quali tumori cerebrali, come glioblastomi e astrocitomi, delle ghiandole salivari, cordomi, sarcomi, melanomi mucosi e oculari. Una consistente percentuale di prestazioni erogate consiste in ritrattamenti, ossia re-irradiazioni di recidive in aree in cui la radioterapia tradizionale ha fallito. Sono trattati anche tumori responsivi alla radioterapia convenzionale, ma che per vicinanza ad organi critici (come nervi ottici, tronco encefalico) non possono essere trattati adeguatamente con tecniche di radioterapia, anche avanzate come la radioterapia stereotassica e che invece, grazie alle caratteristiche dosimetriche di rapida caduta di dose negli organi di rispetto, possono ricevere la dose tumoricida adeguata.
 
I ricercatori dello studio concludono che "nonostante il numero crescente di centri di adroterapia e di studi clinici pubblicati, vi è una persistente incertezza sul beneficio clinico aggiunto dei trattamenti con adroterapia rispetto alla radioterapia convenzionale”. Come risponde a questi dubbi?
Come riportato dal sito del Gruppo Cooperativo di Terapia con Particelle, di cui CNAO fa parte, esiste ad oggi un “pool” di quasi centodiecimila pazienti (100.000 trattati con protoni e oltre 10.000 con ioni carbonio, oltre a circa 4.000 con altri ioni) dal quale trarre indicazioni e che sono un continuo oggetto di aggiornamento. Anche in Europa l’adroterapia è stata oggetto negli scorsi anni di diverse revisioni di letteratura che hanno acceso un vivace dibattito incentrato sul tema del rapporto costo-beneficio, come pure sulla qualità dell’evidenza necessaria per supportarne la diffusione.
L’argomento è in evoluzione, soprattutto per la crescente quantità di dati disponibili conseguenti all’apertura di numerosi nuovi centri nel mondo.

Un documento dell’ASTRO, la Società America di Radioterapia Oncologica, ha recentemente sottolineato come le prospettive della terapia con adroni siano assolutamente positive, soprattutto per quanto attiene i recenti sviluppi tecnologici che hanno introdotto nuove tecniche di pianificazione e somministrazione del trattamento (“scanning attivo”). Con tali metodiche è possibile ridurre la dose integrale con minor rischio per lo sviluppo di neoplasie radio-indotte, incrementare la dose senza aumentare il rischio di complicazioni, ottenere una preservazione d’organo e somministrare una dose maggiore a livello delle aree in cui siano riconoscibili fattori di radioresistenza, come l’ipossia.
 
Sempre secondo quello studio anche la ricerca clinica attualmente in corso potrebbe non contribuire a risolvere questa incertezza...
Per quanto concerne il ruolo della ricerca clinica attualmente in corso, la superiorità tecnologica intrinseca all’adroterapia può rendere dubbio il ricorso indiscriminato a studi randomizzati su una popolazione non selezionata. In questo scenario infatti lo sviluppo dell’adroterapia può avvalersi di tecniche che integrino modelli matematici/radiobiologici per una migliore selezione dei pazienti.  
In relazione all’esperienza di CNAO si può fare riferimento alla sua produzione scientifica, recuperabile su Pubmed, su riviste indicizzate e negli interventi ai maggiori congressi scientifici sull’argomento quali ESTRO.
 
Qual è l'efficacia della terapia nei casi che non possono essere trattati con la radioterapia classica?
Fra le principali limitazioni di efficacia della radioterapia tradizionale vi è la radioresistenza di alcuni tumori, che risultano intrinsecamente non sensibili ai danni da raggi. Per le caratteristiche fisiche di alcune delle particelle utilizzate (ioni carbonio) l’adroterapia può invece offrire un vantaggio biologico rispetto al trattamento con fotoni per neoplasie radioresistenti in virtù delle caratteristiche radiobiologiche delle particelle.
Per quanto siano attualmente avanzate le tecniche radioterapiche (radioterapia a intensità modulata), il risparmio di organi sani può essere talora difficoltoso in determinate condizioni, come di tumore dei seni paranasali con invasione delle strutture prossime all’occhio. Le particelle hanno invece il vantaggio fisico di un profilo invertito di deposizione di dose in profondità rispetto ai fotoni, che consente la creazione di ripidi gradienti di dose che assicurano maggior risparmio degli organi sani a rischio vicino al target.

Quindi a volte più efficace e anche più sicura?
Sì. Le indicazioni classiche, già riconosciute all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) con la loro ultima revisione del 2017, sono ulteriormente confermate, con numeri più ampi e periodi di osservazione più lunghi. Emergono inoltre nuove indicazioni, tra le quali quelle di maggior interesse sono il carcinoma della prostata, del pancreas e del polmone, in cui grazie al risparmio di dose agli organi vicini si può incrementare la dose al tumore.
Un crescente interesse è rivolto, oltre all’efficacia terapeutica, alla riduzione degli effetti collaterali. Questo aspetto è fondamentale per salvaguardare la qualità di vita dei pazienti, oggi guariti più frequentemente che nel passato, o comunque con lunghe aspettative di vita.
Nell’epoca della multimodalità e della personalizzazione dei trattamenti oncologici (chirurgia, farmaci, radioterapia) è di fondamentale importanza aumentare la tollerabilità complessiva, riducendo l’impatto di ciascuna delle componenti. L’adroterapia appare come lo strumento più idoneo per il raggiungimento di questo obiettivo.

L'adroterapia è quindi una vera e propria alternativa terapeutica? 
No. L’adroterapia non sostituisce la radioterapia tradizionale in tutti gli scenari oncologici, ma rappresenta una ulteriore opportunità di cura per i pazienti affetti da tumore. Resta una tecnica interessante per l’effetto di danno al DNA delle cellule tumorali, che può essere ottenuto con le particelle, in primis gli ioni carbonio. Nei tumori radioresistenti, a parità di volumi irradiati la terapia con particelle può consentire un trattamento con un limitato numero di sedute, come avviene con la radioterapia stereotassica, mantenendo tuttavia un vantaggio di maggiore efficacia radiobiologica.
Nei tumori candidati a radioterapia, inoltre, un vantaggio delle particelle rispetto alla radioterapia a intensità modulata può consistere nel maggior risparmio dei tessuti sani.

Camilla de Fazio
18 febbraio 2020
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