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Farmaci. Con biosimilari 500 milioni risparmiati entro il 2020
Ne è convinto il Sales Manager Hospital di Teva Italia, secondo il quale l'introduzione, nel comparto, di sei prodotti biotecnologici a brevetto scaduto comporterebbe, in tutta l’Unione Europea, un risparmio di almeno il 30% di spesa, pari a circa 2.4 miliardi di euro all’anno.
14 NOV - "I farmaci biotecnologici biosimilari sono opzioni terapeutiche altrettanto efficaci, sicure e di qualità rispetto al farmaco biotecnologico originatore di cui è scaduto il brevetto. Questi farmaci sono destinati ad avere un ruolo da protagonisti nel settore farmaceutico mondiale, perché possono garantire l’accesso alle cure più innovative a un numero maggiore di pazienti, favorendo un utilizzo più razionale della spesa farmaceutica”. Ne è convinto Alessandro Ghigo, Sales Manager Hospital Teva Italia, che in un incontro promosso oggi a Roma ha sostenuto che “l'introduzione, nel comparto, di sei prodotti biotecnologici a brevetto scaduto comporterebbe, per l’Unione Europea, un risparmio di almeno il 30% di spesa, pari a circa 2.4 miliardi di euro all’anno. Relativamente all'Italia, secondo recenti proiezioni, la maggiore diffusione e utilizzo dei farmaci biotecnologici biosimilari, nei prossimi 10 anni, potrebbe portare al sistema sanitario un risparmio progressivo di più di 200 milioni di euro nel 2015, fino a 500 milioni di euro nel 2020.  Quindi, pur restando lontanissimi dal 40% di utilizzo del farmaco biosimilare, già in essere in un Paese di riferimento come la Germania, complessivamente, le aziende sanitarie risparmierebbero già il 3-4% sulla spesa complessiva per i farmaci”.

Secondo i dati presentati stamani, infatti, molti i farmaci biotecnologici biosimilari già in commercio in Europa: in Germania, 4 pazienti su 10 assumono l’epoetina biosimilare, quasi 1 su 3 viene trattato con il biosimilare di filgrastim. Ma in Italia, hanno osservato gli esperti riuniti oggi a Roma – oltre a Ghigo erano presenti Paolo Marchetti, direttore U.O.C. Oncologia Medica dell’Ospedale Sant’Andrea Facoltà di Medicina e Psicologia, Università Sapienza di Roma  e membro del consiglio direttivo Aiom, e Armando Genazzani, docente di Farmacologia alla Facoltà di Farmacia dell'Università del Piemonte Orientale - a tre anni dall’introduzione in commercio dei primi farmaci a brevetto scaduto, permangono riserve sul loro utilizzo: solo 1 paziente su 1.000 viene curato con epoetina biosimilare e solo 5 su 100 con filgrastim biosimilare. Proprio per questo farmaco, che stimola la produzione di globuli bianchi nei pazienti in chemioterapia, aiutando a prevenire le infezioni, il divario prescrittivo è molto significativo nei confronti di altri Paesi. Si pensi che nel Regno Unito, il 63% di filgrastim dispensato dal Sistema Sanitario Nazionale è biosimilare, mentre in Germania la percentuale è del 41% e in Francia del 29%.

“Attualmente nel nostro Paese sono disponibili farmaci biotecnologici biosimilari per 3 categorie farmacologiche, ossia ormone della crescita, eritropoietine, fattori di crescita granulocitari” ha affermato Marchetti. “Nei prossimi 5 anni, però, verranno a decadere le coperture brevettuali di 45 farmaci biotecnologici. Si comprende dunque come un corretto impiego dei farmaci biosimilari rappresenti una risorsa importante per il servizio sanitario. Infatti, una volta stabilito da Ema e Aifa che il farmaco biosimilare è simile all’originatore in termini di qualità, sicurezza ed efficacia, il medico avrà a disposizione  un’opportunità terapeutica che permette di razionalizzare la spesa sanitaria, liberando risorse per nuovi farmaci innovativi, in genere di elevato costo, con beneficio dei pazienti”.

“Proprio perché un biosimilare non è la copia di un biologico originatore – ha spiegato Genazzani - per ottenere l’approvazione degli organi regolatori, deve seguire il percorso imposto dell’Ema, secondo modalità precise. L'azienda che intende produrre un farmaco simile a uno il cui brevetto sta per scadere deve, prima di tutto, ottenere una molecola biologica (ossia una proteina) simile a quella che si vuole copiare. Una volta ottenuta e purificata, questa va sottoposta a valutazioni fisiche e chimiche per accertarne la similarità con quella dell'originatore. Se supera questi esami, viene sperimentata sugli animali per valutarne l'attività biologica. Se anche questa fase è positiva, si passa agli studi sull'uomo, che devono coinvolgere un numero sufficientemente alto di persone e che confrontano il biosimilare con l'originatore: prima la molecola viene studiata su volontari sani (studi di fase I) poi, se i risultati lo consentono, su volontari malati (studi di fase III). Questo iter dura dai tre ai sette anni: l’approvazione si basa sul parere scientifico positivo dell'Agenzia Europea per i Medicinali  dopo la valutazione dei dati forniti. Pertanto- ha concluso Genazzani - tutti i farmaci biosimilari ottengono l’autorizzazione all’immissione in commercio solo dopo una valutazione rigorosa ed approfondita dei relativi dati di registrazione.”
 
14 novembre 2011
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