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Screening neonatali. Del Favero (Iss): “Non tutte le Regioni sono pronte ad applicare la legge”
“Per questo stiamo lavorando perché si possa partire tutti con le condizioni almeno sufficienti a garantire poi un’analisi del costo-beneficio della legge che è uno degli obiettivi dell’archivio nazionale di dati che costruiremo in Istituto sugli esiti degli screening”. Il Direttore generale dell’Iss fa il punto sull’applicazione della legge in vista del prossimo convegno sul tema in programma a Padova il 5 maggio.
02 MAG - È un banco di prova per qualità, efficienza, uniformità ma anche per l’equità del nostro Servizio Sanitario Nazionale l’applicazione della legge sugli screening neonatali estesi che è ai nastri di partenza mentre si misura con le disparità regionali in sanità.
 
A questo tema, e a fare una fotografia della realtà italiana prima dell’avvio della legge sugli screening, è dedicato il convegno Malattie rare e screening neonatali organizzato da Motore Sanità a Padova il prossimo 5 maggio per discutere insieme alle migliori esperienze nazionali in questo campo i temi da affrontare per realizzare concretamente questo importante progetto di sanità pubblica.
 
Ne abbiamo parlato con Angelo del Favero, direttore Generale dell’Istituto Superiore di Sanità, che coordinerà gli screeninga livello nazionale.
 
Screening neonatali estesi in tutto il Paese. C’è stata la prima riunione in Istituto per l’applicazione della Legge di cui siete Centro di coordinamento. Qual è la situazione?
È una situazione che vede grandi disomogeneità tra regione e regione e non solo da un punto di vista economico, ma anche di competenze e di strutture. L’avvio di questi screening presuppone anche la capacità di informare e di coinvolgere le famiglie su questa tematica, di ottenere il loro consenso. Non tutte le regioni sono preparate a questo. Alcune non si sono ancora adeguate da un punto di vista legislativo come richiedeva la legge e speriamo lo facciano presto in contemporanea all’erogazione dei fondi che sta via via avvenendo. Stiamo lavorando perché si possa partire tutti con le condizioni almeno sufficienti a garantire poi un’analisi del costo-beneficio della Legge che è uno degli obiettivi dell’archivio nazionale di dati che costruiremo in Istituto sugli esiti degli screening. Un’operazione, quest’ultima, che potrà fare da modello in futuro anche per altri settori dove si fanno importanti interventi di sanità pubblica.
 
Quali sono i compiti delle regioni e quali quelli dell’Istituto?
Le regioni dovranno adeguarsi alla Legge alla quale l’archivio è subordinato e mettere le risorse economiche per la realizzazione degli screening. Noi metteremo a disposizione le risorse umane e le competenze, grazie all’esperienza consolidata in questo campo del nostro Centro Nazionale Malattie Rare, per costruire l’archivio che deve essere funzionalmente collegato con il Registro Nazionale delle Malattie Rare e forniremo un documento operativo in modo da permettere alle regioni di emanare decreti attuativi della Legge. La funzione dell’Istituto è anche quella di garantire che la qualità delle analisi effettuate sia uniforme in tutto il territorio, che raggiunga tutti, compresi i neonati immigrati per i quali sarà necessario anche prevedere la traduzione del documento informato nelle lingue maggiormente diffuse.
 
Come state procedendo intanto?
Stiamo attualmente lavorando per fare una ricognizione dello stato dell’arte esistente cercando di fare una misurazione degli standard attuali anche in termini di qualità in modo che per gli aspetti più importanti si possa essere allineati il più possibile dappertutto. Un altro passo è la ricognizione delle best practice e un piano di attività calendarizzato.
Questo convegno di Padova è un’importante occasione di confronto cui le eccellenze migliori nel campo degli screening neonatali come, per esempio, il Bambino Gesù di Roma, l’azienda ospedaliera di Padova, con eccellenze che in questo campo possono offrire indirizzi e spunti preziosi per costruire una piattaforma di lavoro secondo i migliori standard.
 
C’è anche un importante lavoro di comunicazione da fare su un tema così delicato.
Si. Di informazione priva di contesto in giro ce n’è troppa e spesso di cattiva qualità. Una voltaeffettuati gli screening, in caso di diagnosi, è necessario fornire una consulenza genetica e essere preparati a comunicare alle famiglie in maniera corretta coniugando professionalità e umanità. Serve perciò approfondire un modello di comunicazione e mettere a disposizione in questo senso strumenti agli operatori perché possano, al momento della diagnosi, sostenere anche emotivamente le famiglie e fargli comprendere che quell’analisi può in molti casi aiutare a cambiare la qualità di vita dei bambini e in molti altri anche l’evoluzione della malattia.  Su questo ultimo punto molto ci potrà dire l’analisi degli esisti degli screening.
 
Serve un’alleanza con i pediatri?
I pediatri sono essenziali, soprattutto per quanto riguarda informazione e comunicazione sia relativamente alla possibilità di trasmettere alle famiglie in attesa di un bambino l’importanza di avere a disposizione uno strumento come lo screening sia per il sostegno successivo in caso di diagnosi. La richiesta della necessità di formare in questo ambito i pediatri ci è venuta anche dalle associazioni dei Pazienti che hanno sottolineato come rispetto a questo tema anche il livello di preparazione e di sensibilità dei pediatri sia molto disomogeneo a seconda del contesto in cui operano.
02 maggio 2017
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