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FarmacistaPiù. “Investire sul farmacista per garantire l’economicità e l’efficacia delle prestazioni”. Intervista a Pace
"I nuovi Lea hanno disegnato uno schema di assistenza aggiornato alle attuali esigenze, ma questi Livelli essenziali devono essere effettivamente esigibili da parte del cittadino e la prima condizione è che vi siano professionisti preparati, motivati e adeguatamente remunerati". Così il segretario Fofi interviene su uno dei temo che verranno affrontati a Milano, dal 17 al 19 marzo, all'interno del convegno dei farmacisti italiani.
13 MAR - Una delle principali novità, di contenuti e di metodo, della IV edizione di Farmacista Più è racchiusa nella sessione Protagonismo territoriale. Si tratta di cinque tavoli tematici nei quali esperti, rappresentanti della politica e delle professioni, ma soprattutto tutti i farmacisti che vorranno dare il loro contributo, metteranno a fuoco le principali criticità e opportunità della situazione attuale, fornendo spunti di riflessione per l’agenda politica della Fofi. Al segretario della Federazione, Maurizio Pace, abbiamo chiesto di tratteggiare l’orizzonte dei lavori del tavolo da lui presieduto: Politiche del farmaco tra universalità e mercato.
 
Dottor Pace, il tavolo che lei presiede ha tra i concetti cardine l’universalità. Perché?
Perché se si parla di politiche sanitarie in senso stretto non si può a mio avviso che parlare di servizio sanitario e, quindi, dell’universalità della tutela della salute. Paesi anche importanti che però non basano la tutela della salute su base universalistica non hanno politiche sanitarie come le intendiamo in Europa. Non a caso la prima vera politica sanitaria si è avuta negli Stati Uniti con la cosiddetta “obamacare”, cioè il tentativo di creare la copertura sanitaria più vasta possibile considerato il contesto. Le politiche del farmaco, poi, sono parte essenziale della politica sanitaria di un paese. Oggi le terapie farmacologiche hanno un ruolo impensabile pochi decenni orsono, basti pensare all’ulcera gastrica, un tempo patologia chirurgica oggi affrontabile in modo incruento e risolutivo sul territorio.
 
Ma è un principio in antitesi con quello di mercato?
No, a patto che non si intenda che a decidere del diritto alla salute, l’unico diritto che la nostra costituzione definisce fondamentale, siano esclusivamente le dinamiche di mercato, oltretutto intese in modo un po’ semplicistico. Non dimenticherei, a questo proposito, che un servizio sanitario universalistico è per così dire un cliente importante e, venendo al caso del farmaco, è nella logica stessa del mercato che il Ssn vada, per esempio, a contrattare i prezzi ai quali acquisire i medicinali che eroga ai suoi assistiti. Contrattare ma, è ovvio, non imporre.
 
Spesso si sostiene la necessità di limitare l’universalità, o il perimetro delle prestazioni erogate, in nome della sostenibilità. 
E’ evidente che esistono e sono sempre esistite compatibilità economiche alle quali è difficile sfuggire. Temo però che dal 2008 a oggi si sia trascurato che insostenibili sono state la crisi, originata dalla bolla immobiliare, non dai servizi sanitari, e le politiche depressive con cui si è cercato di rispondere finora. Quando si parla di tagliare la spesa sanitaria si dimentica che quella spesa rappresenta in realtà un investimento: in retribuzione dei professionisti, in acquisti di farmaci, di dispositivi: insomma si investe in un comparto dell’economica che genera anche ricchezza oltre a generare salute, che è a sua volta una ricchezza per la collettività.
 
Niente spending review, dunque?
No al contrario, occorre una lotta serrata agli sprechi, al moltiplicarsi delle prestazioni non necessarie o agli approcci non appropriati, per non parlare delle vere e proprie malversazioni. Solo la spesa produttiva può essere considerata un investimento. Ma fatto questo, non si può comprimere la spesa sotto un certo livello esattamente come non si possono aumenatre le risorse senza badare a come vengono impiegate.
 
Quale bussola in questo percorso?
La bussola deve essere l’appropriatezza delle scelte, ma poi garantire che quanto viene erogato al paziente esprima concretamente il suo potenziale. Mi riferisco al supporto all’aderenza alla terapia, alla presa in carico del paziente, ma anche all’individuazione dei percorsi più adeguati per acceder a prestazioni e servizi. In questo senso il farmacista e la farmacia di comunità hanno mostrato di avere la possibilità di svolgere un ruolo fondamentale sia come front office del Servizio sanitario sia come presidio sanitario polivalente – penso per esempio alle farmacie rurali – ma anche con prestazioni professionali capaci di ottimizzare il risultato delle terapie prescritte. In questo senso mi sembra che la sperimentazione dell’-MUR promossa dalla FOFI lasci pochi dubbi al riguardo.
 
Quindi investire sul farmacista?
Certamente, per garantire l’universalità, l’economicità e l’efficacia delle prestazioni. E più in generale direi investire sui professionisti: il medico, l’infermiere e gli altri professionisti sul territorio e nell’ospedale. I nuovi Lea hanno disegnato uno schema di assistenza aggiornato alle attuali esigenze, ma questi Livelli essenziali devono essere effettivamente esigibili da parte del cittadino e la prima condizione è che vi siano professionisti preparati, motivati e adeguatamente remunerati a farsi carico delle sue richieste. 
13 marzo 2017
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