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Regionalismo differenziato. Corte dei conti: “Maggiore autonomia necessità di strumenti idonei di monitoraggio e di rendicontazione per evitare tensioni sul bilancio dello Stato”
Nella sua audizione davanti alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale la magistratura contabile segnala come “con riferimento alle autonomie speciali - che costituiscono un modello raffrontabile con quello in divenire delle Regioni ad autonomia differenziata - si sono rilevati profili di criticità correlati alle modalità di monitoraggio e di chiarezza dei risultati contabili”. IL DOCUMENTO
17 LUG - “Il conferimento di maggiori livelli di autonomia amplia la necessità che gli amministratori diano conto di come questi poteri e le correlate risorse siano utilizzati e dei risultati conseguiti. Secondo la Corte costituzionale la tutela dell’unità economica della Repubblica giustifica un governo unitario della finanza pubblica e controlli esterni sugli enti territoriali (cfr. sent. n. 39/2014) al fine di evitare tensioni sugli equilibri di bilancio. Ne consegue come la richiesta di autonomia differenziata postuli quale corollario l’adozione di idonei strumenti di monitoraggio e di rendicontazione”. È quanto afferma la Corte dei conti, nel corso dell’audizione che si è svolta oggi a Palazzo San Macuto, davanti alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale su “Attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, III comma, della Costituzione”.
 
Per la magistratura contabile infatti “con riferimento alle autonomie speciali - che costituiscono un modello raffrontabile con quello in divenire delle Regioni ad autonomia differenziata - si sono rilevati profili di criticità correlati alle modalità di monitoraggio e di chiarezza dei risultati contabili”.  E fa anche degli esempi per mostrare come laddove le Regioni sono monitorate i conti sono tornati in ordine diversamente a quanto è successo nelle Regioni e Province autonome.
 
“Si è osservato che tra il 2006 ed il 2017 il deficit si sia ridotto nelle Regioni sottoposte a monitoraggio (da -1 mld ca. a -82 mln) ed ancor più in quelle sottoposte a piano di rientro (da oltre -4 mld a -223 mln), mentre nelle Regioni a statuto speciale e nelle due Province autonome è stata rilevata una diversa tendenza (da -600 mln ca. a -1,2 mld, compreso il disavanzo regionale della Sardegna e con l’esclusione della Regione siciliana, in piano di rientro)”
 
 
Il testo integrale della Relazione della Corte dei conti:
 
Il conferimento di maggiori livelli di autonomia amplia la necessità che gli amministratori diano conto di come questi poteri e le correlate risorse siano utilizzati e dei risultati conseguiti. Secondo la Corte costituzionale la tutela dell’unità economica della Repubblica giustifica un governo unitario della finanza pubblica e controlli esterni sugli enti territoriali (cfr. sent. n. 39/2014) al fine di evitare tensioni sugli equilibri di bilancio. Ne consegue come la richiesta di autonomia differenziata postuli quale corollario l’adozione di idonei strumenti di monitoraggio e di rendicontazione.
 
Alcuni utili spunti di riflessione possono essere tratti dalle analisi svolte in varie occasioni dalla Corte in tema di servizi sanitari regionali, atteso che la tutela della salute è una delle materie oggetto delle intese in discorso ed è, anzi, quella che impiega la maggior parte delle risorse regionali (circa l’80% della spesa pubblica nelle RSO; circa il 50% per le RSS in considerazione delle maggiori funzioni a queste ultime attribuite e, dunque, della minore incidenza della spesa sanitaria su quella complessiva). A tale riguardo, con riferimento alle autonomie speciali - che costituiscono un modello raffrontabile con quello in divenire delle Regioni ad autonomia differenziata - si sono rilevati profili di criticità correlati alle modalità di monitoraggio e di chiarezza dei risultati contabili.
 
Nell’“Audizione sulle forme di raccordo tra Stato e autonomie territoriali e sull’attuazione degli statuti speciali” del 23 marzo 2017 davanti alla Commissione Parlamentare per le questioni regionali, la Corte, infatti, aveva osservato che «La separatezza degli ordinamenti finanziari speciali – rimarcata dalle cosiddette clausole di salvaguardia e dalle norme di attuazione statutaria, che escludono la diretta applicabilità degli interventi statali, condizionandola alla mediazione di specifici accordi – va conciliata con l’esigenza di garantire l’unità della finanza pubblica attraverso una partecipazione diretta di detti enti al coordinamento dinamico mediante moduli pattizi. In tal modo il coordinamento finanziario si connota di aspetti “negoziali”: sia quando la Regione speciale tratta con lo Stato il concorso della propria autonomia differenziata agli obiettivi di stabilità e convergenza, sia quando la stessa Regione si incarica del diretto coordinamento, a tali medesimi fini, della finanza degli Enti locali. In tale ambito, la Corte costituzionale ha chiarito i termini della composizione tra la dimensione della garanzia dell’autonomia territoriale e la dimensione della garanzia dell’unitarietà dell’ordinamento statale. In proposito giova ricordare che ormai, per il combinato disposto degli artt. 117, primo comma, e 97 Cost. (come modificati dalla citata legge cost. n. 1/2012), emerge un interesse-valore costituzionale che si identifica nella tutela dell’unità economica della Repubblica, che, secondo la stessa Corte costituzionale (sent. n. 39/2014), giustifica tanto un governo unitario della finanza pubblica quanto i controlli esterni sugli enti territoriali diretti ad evitare danni irreparabili all’equilibrio di bilancio. Invero, la Corte, in varie recenti pronunce (sentenze n. 188/2014; n. 88/2014; n. 39/2014; n. 60/2013), ha valorizzato la funzione statale di coordinamento finanziario, intesa come espressiva di una dimensione di Stato ordinamento inglobante le autonomie anziché quale volontà dello Stato persona, ad esse contrapposto».
 
 
Un rilevante profilo di criticità emerso nella stessa sede è stato il tema della determinazione del fabbisogno sanitario nazionale e del relativo riparto tra le Regioni (peraltro già evidenziato in precedenti occasioni). Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, infatti, a differenza di quelle a statuto ordinario, provvedono direttamente al finanziamento dell’assistenza sanitaria sul loro territorio senza alcun onere a carico del bilancio dello Stato. È opportuno riportare quanto riferito in proposito alla Commissione parlamentare nell’audizione del 23 marzo 2017 cit.:« (…) Ma se l’asse portante del sistema finanziario delle Autonomie speciali è rinvenibile nella devoluzione di quote del gettito di tributi erariali riscossi nei territori di rispettiva competenza e, dunque, nella correlazione del bilancio regionale alla dinamica dell’economia locale, la partecipazione delle Autonomie speciali in sede di riparto del FSN di fatto sembra essere da queste percepita solo come “figurativa”, potendo esse provvedere alle necessità del proprio sistema sanitario indipendentemente dalla ripartizione avvenuta in sede di Conferenza Stato-Regioni. La questione appare inscindibilmente legata alla valenza che s’intende attribuire alle risorse assegnate agli enti territoriali all’esito della procedura di ripartizione del finanziamento del settore sanitario pubblico (…)».
 
Laddove il monitoraggio esterno si riveli meno incisivo, dunque, a fronte di maggiori spese si verifica che non ci sia chiarezza sulla ragione delle stesse (è il caso di Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Trento e Bolzano, v. meglio infra), oppure che si vengano ad accumulare significativi disavanzi (è il caso della Regione Sardegna). Per contro, nelle Regioni sottoposte a monitoraggio (“leggero” o più stringente per gli enti in piano di rientro dal deficit) si è riscontrato un netto miglioramento dei risultati di gestione. In particolare, facendo riferimento alle sole risorse ritenute congrue dallo Stato per l’erogazione dei LEA in condizioni di efficienza ed appropriatezza, così come definite con l’Intesa Stato-Regioni, si è osservato che tra il 2006 ed il 2017 il deficit si sia ridotto nelle Regioni sottoposte a monitoraggio (da -1 mld ca. a -82 mln) ed ancor più in quelle sottoposte a piano di rientro (da oltre -4 mld a -223 mln), mentre nelle Regioni a statuto speciale e nelle due Province autonome è stata rilevata una diversa tendenza (da -600 mln ca. a -1,2 mld, compreso il disavanzo regionale della Sardegna e con l’esclusione della Regione siciliana, in piano di rientro).
 
All’analisi suesposta conseguono diverse considerazioni. Una prima riguarda l’efficacia degli interventi di contenimento della spesa. Ed invero, laddove «lo Stato non ha strumenti d’intervento diretto sulla dinamica di spesa … le politiche di contenimento sono (state) meno efficaci»: le Regioni a statuto ordinario, infatti, sono soggette a monitoraggio annuale ovvero, qualora in disavanzo, a più verifiche tecniche in corso d’esercizio relativamente al piano di rientro sottoscritto. Durante le riunioni tenutesi tra luglio e dicembre 2018 tra Autonomie speciali (esclusa la Regione Siciliana) e Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, invece, quest’ultimo ha fatto presente di aver convocato le suddette Autonomie anche per l’esame dei conti del IV trimestre 2017, ricevendo la seguente comunicazione congiunta: «pur confermando la disponibilità a collaborare con il Ministero per tutte le informazioni richieste in materia di spesa sanitaria, si segnala che si ritiene sufficiente che ciò avvenga sui dati annuali consolidati, dato che, non partecipando al riparto del FSN, non pare utile partecipare a verifiche infra-annuali sui CE trimestrali». Attualmente, dunque, i diversi sistemi sanitari regionali esistenti sono comparabili tra loro solo con estrema difficoltà, soprattutto avendo riguardo ai servizi resi ed al costo degli stessi, restando ancora non chiaro «quanto della differenza di risultato tra il fabbisogno teorico e la spesa effettiva dipenda dall’erogazione di maggiori servizi e quanto, eventualmente, sia, invece, da ricondurre ad un maggior costo dei LEA» , a causa della mancanza di idonei strumenti di misurazione allo scopo.
 
Considerando le novità introdotte dal d.lgs. n. 68/2011 a decorrere dall’anno 2013 in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard per le Regioni a statuto ordinario nel settore sanitario, «sarebbe certamente auspicabile che almeno il fabbisogno per l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) in condizioni di efficienza ed appropriatezza, presentasse regole procedurali univoche sul territorio nazionale e tempestivamente recepite da tutti gli enti territoriali, così da permettere una più agevole valutazione dei costi della sanità nei diversi contesti territoriali».
 
 Un secondo aspetto della questione riguarda l’armonizzazione contabile, materia di competenza esclusiva statale «che non può subire deroghe territoriali, neppure all’interno delle autonomie speciali costituzionalmente garantite, in quanto strumentale a garantire che lo Stato stesso, attraverso informazioni rese in maniera uniforme, possa garantire il coordinamento della finanza pubblica e gli equilibri del bilancio (Corte Costituzionale, sentenza n. 80/2017)». Nello stesso contesto è stato, inoltre, affermato che «l’applicazione del Titolo II del decreto legislativo n. 118/2011 richiede che sia data separata evidenza nel bilancio regionale dell’anno delle risorse conferite al proprio Servizio sanitario provinciale a titolo di finanziamento indistinto, vincolato, mobilità extraregionale e delle ulteriori risorse che la Regione ha eventualmente inteso conferire al proprio Servizio sanitario per finanziare i maggiori costi indotti dai LEA ovvero per finanziare anche prestazioni aggiuntive rispetto ai LEA». La richiesta di individuare le diverse fonti di finanziamento del servizio sanitario regionale/provinciale (finanziamento obbligatorio LEA; finanziamento aggiuntivo LEA e finanziamento per extra LEA) risulta ancora disattesa dalle Autonomie speciali. Ultima considerazione, ma non per rilevanza, riguarda la qualità e le condizioni di erogazione delle prestazioni sanitarie sul territorio nazionale. Come si è avuto modo di osservare nel Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali per l’esercizio 2016 (Sezione delle autonomie, deliberazione n. 3/SEZAUT/2018/FRG), «in virtù delle diverse normative regionali, sul territorio nazionale non vengono erogate le medesime prestazioni sanitarie né agli stessi costi: l’accesso ai servizi sanitari, dunque, non avviene attualmente in condizioni di eguaglianza tra tutti i cittadini. E ciò è tanto più grave se si considera la recente pronuncia della Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 169/2017) secondo la quale è necessaria una delimitazione finanziaria dei LEA, definiti “spese incomprimibili e necessarie”, rispetto alle altre spese sanitarie: la reale copertura finanziaria dei servizi, data la natura delle situazioni da tutelare, deve riguardare non solo la quantità ma anche la qualità e la tempistica delle prestazioni costituzionalmente necessarie». Inoltre, a prescindere dal profilo economico-finanziario, si rileva che le valutazioni delle performance dei sistemi sanitari regionali operate dal Ministero della salute nel “Monitoraggio dei LEA attraverso la cd. Griglia LEA - Metodologia e Risultati dell’anno 2017” conducono a ritenere che non sempre al processo di risanamento finanziario si accompagni una sufficiente erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
 
Nel richiamato Referto approvato con deliberazione della Sez.Aut. n. 13/2019, è stato ricordato che Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Trento e Bolzano, per le modalità di finanziamento dell’assistenza sanitaria sui loro territori12 , sono tuttora escluse dalla Verifica Adempimenti affidata dall’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 al Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza in condizioni di appropriatezza ed efficacia nell’utilizzo delle risorse. E ciò avviene nonostante l’auspicio che il processo di uniformità relativo all’erogazione del bene salute trovi al più presto il suo compimento secondo le previsioni costituzionali in materia di eguaglianza e tutela di cui agli artt. 3 e 32 Cost.
17 luglio 2019
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