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Def 2019. “Allarme disavanzo. Pochi i margini per una spending review. Nuovi tagli alla sanità e al pubblico impiego inciderebbero sulla qualità dei servizi offerti”. L’audizione dell’Upb
Il disavanzo, escludendo l’aumento dell’Iva previsto con le clausole di salvaguardia, salirebbe fino al 3,8 per cento nel 2022. Per una sua discesa progressiva, dovrebbero essere individuate misure per circa 25 miliardi nel 2020, che salirebbero a circa 36 miliardi nel 2021 per raggiungere circa 45 miliardi a fine periodo. In ogni caso, la manovra autunnale si prospetta come un "puzzle complesso" dal momento che ci sono pochi margini per una nuova spending review. "Ulteriori blocchi del turn over o tagli alla spesa sanitaria avrebbero ripercussioni sulla qualità dei servizi erogati".
16 APR - Il disavanzo, escludendo l’aumento dell’Iva previsto con le clausole di salvaguardia, salirebbe fino al 3,8 per cento (73 miliardi) nel 2022. Il debito pubblico in rapporto al Pil continuerebbe a salire anche dopo il 2019 per arrivare sopra il 135 per cento nel 2022 dal 132,2 per cento del 2018. Per una discesa progressiva del disavanzo, dovrebbero essere individuate misure per circa 25 miliardi nel 2020, che salirebbero a circa 36 miliardi nel 2021 per raggiungere circa 45 miliardi a fine periodo. Inoltre, il ricorso ad una spending review potrebbe risultare complesso: in particolare ulteriori blocchi del turn overo o tagli alla spesa sanitaria avrebbero ripercussioni sulla qualità dei servizi erogati.
 
Questo in sintesi il quadro offerto questa mattina dal Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) Giuseppe Pisauro, durante l'audizione presso le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato sul Documento di economia e finanza approvato la scorsa settimana dal Governo.
 
Le tendenze della finanza pubblica e il puzzle della manovra di bilancio 2020. Sul versante della finanza pubblica, il Presidente dell’Upb ha rilevato che il Def prende atto dello sforamento del deficit rispetto al livello atteso per il 2018 e della traiettoria meno favorevole dei conti pubblici tendenziali, a seguito del peggioramento congiunturale dell’economia. In assenza di interventi, il deficit pubblico aumenterebbe al 2,4 per cento del Pil nel 2019 (il dato conferma l’indisponibilità dei 2 miliardi di stanziamenti accantonati nell’ambito delle modifiche alla manovra di finanza pubblica operate a fine dicembre del 2018), per scendere al 2 per cento nel 2020 e all’1,8 a all’1,9 per cento nei due anni successivi.
 
Le ulteriori iniziative annunciate nel Def, come ad esempio l’intenzione di continuare il processo di riforma delle imposte sui redditi (“flat tax”) e di generale semplificazione del sistema fiscale, da realizzare “nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica definiti nel documento”, richiederebbero inoltre "l’identificazione di ulteriori misure compensative".
 
"La manovra autunnale si prefigura quindi come un puzzle complesso, che richiederà una chiara definizione delle priorità politiche, una attenta riflessione sul disegno delle politiche stesse per evitare effetti distorsivi sull’economia e una adeguata trasparenza delle dinamiche redistributive insite nelle misure da adottare", spiega Pisauro.


Alcuni rischi relativi alle misure per contenere il disavanzo e il debito. "In base alle poche indicazioni fornite nel Def sulla manovra di bilancio, il reperimento di risorse necessarie al conseguimento degli obiettivi programmatici dovrebbe basarsi, oltre che sull’attivazione delle clausole di salvaguardia relative alle imposte indirette, su quattro principali voci: sulla revisione della spesa, sulla riduzione e razionalizzazione delle spese fiscali, sul contrasto dell’evasione fiscale e su introiti da privatizzazione. Ciascuna di queste linee di intervento presenta degli elementi di criticità", ha aggiunto.
 
"Tenendo conto dell’andamento delle uscite primarie registrato dal 2010 in avanti in termini nominali e reali (la spesa primaria è aumentata complessivamente di 50,4 miliardi in termini nominali, mentre si è ridotta di 14,7 miliardi in termini reali), il ricorso a risparmi di spesa può risultare complesso per vari fattori. In particolare: 1) nel pubblico impiego, misure di contenimento della spesa, come ad esempio nuovi blocchi del turn over, si scontrerebbero con il già avvenuto calo della dotazione di personale e con l’invecchiamento degli addetti, con le inevitabili conseguenze sull’efficienza complessiva dell’organizzazione e sull’utilizzo dell’innovazione tecnologica, a meno di riforme sul funzionamento della pubblica amministrazione che tuttavia richiedono molto tempo per dispiegare i loro effetti; 2) il rischio che ulteriori tagli della spesa sanitaria incidano sulla qualità dei servizi offerti oppure sul perimetro del coinvolgimento pubblico in questo settore; 3) il condivisibile impegno del Governo a incrementare le risorse finanziarie per investimenti a disposizione delle Amministrazioni centrali e di quelle locali anche mediante il superamento delle criticità connesse all’applicazione della nuova normativa sugli appalti pubblici; 4) l’aumento ulteriore della spesa pensionistica prevista con quota 100 e delle altre prestazioni sociali a seguito dell’introduzione del reddito di cittadinanza", ha sottolineato il presidente dell'Upb.
 
Infine, il ridimensionamento delle spese fiscali (tax expenditures) "solleva alcune questioni che andrebbero affrontate. La loro eliminazione dovrebbe essere preceduta non solo dalla quantificazione dell’impatto finanziario complessivo e dei beneficiari coinvolti, ma soprattutto da un’analisi ex post degli effetti redistributivi che l’eliminazione di ciascuna agevolazione determinerebbe. Inoltre, alcune agevolazioni fiscali che coprono più anni (ad esempio, quelle sulle ristrutturazioni edilizie o relative agli interessi sui mutui prima casa), seppure venissero eliminate, continuerebbero a determinare perdite di gettito negli anni futuri e non sarebbero perciò immediatamente disponibili come copertura per altre misure".
 
Giovanni Rodriquez
16 aprile 2019
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