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Pronto il nuovo Piano nazionale Aids. Massima attenzione all’informazione e all’accesso ai test. Ma anche all’accesso alle cure, all’omogeneità negli interventi regionali e alla tutela dei diritti sociali e lavorativi delle persone colpite dal virus
Il ministero della Salute ha inviato alla Conferenza Stato-Regioni il nuovo Piano nazionale Aids. Un piano molto articolato che parte dalla constatazione del rischio del "sommerso" e della necessità di riparlare della malattia e di come evitarla con comportamenti consapevoli. Attenzione soprattutto ai giovani. Focus sui diritti sociali e lavorativi. Ma preoccupa anche la continuità delle terapie: si stima infatti che il 15% dei 120 mila affetti dal virus non sia stato inserito o mantenuto in cura. IL DOCUMENTO.
22 MAR - Epidemiologia, strategie di prevenzione, presa in carico, cura  assistenza, ma soprattutto comunicazione alla popolazione, soprattutto verso i più giovani e per contrastare i comportamenti più a rischio.
 
Il nuovo Piano nazionale di interventi contro Hiv e Aids è stato inviato alla Stato-Regioni per l’intesa con nove interventi:
- delineare e realizzare progetti finalizzati alla definizione di modelli di intervento per ridurre il numero delle nuove infezioni;
 
- facilitare l’accesso al test e l’emersione del sommerso;
 
- garantire a tutti l’accesso alle cure;
 
- favorire il mantenimento in cura dei pazienti diagnosticati e in trattamento;
 
- migliorare lo stato di salute e di benessere delle persone PLWHA (People Living With HIV/AIDS);
 
- coordinare i piani di intervento sul territorio nazionale;
 
- tutelare i diritti sociali e lavorativi delle persone che vivono con l'Hiv-Aids (PLWHA); promuovere la lotta allo stigma; promuovere l’Empowerment e coinvolgimento attivo delle popolazione chiave.
 
E sette obiettivi da raggiungere nel triennio:
- incremento della percentuale dei casi diagnosticati e mantenuti in cura fino al raggiungimento del 90% delle persone PLWHA che si stimano viventi in Italia;
 
- attivazione di un percorso diagnostico terapeutico definito in almeno l’80% dei Centri clinici deputati all’assistenza delle persone PLWHA; 
 
- mantenimento di livelli di viremia <50 copie/mL in più del 90% dei pazienti trattati (<5% di fallimenti virologici/anno);
 
- riduzione a meno del 5% all’anno della perdita di contatto da parte dei Centri clinici con i pazienti seguiti dai centri; riduzione del 50% dei casi di diagnosi tardiva di infezione (AIDS presenter, conte di CD4 ≤200/µL); 
 
- riduzione del 25% dei casi che si presentano con CD4 > 200 <350/µL; allineamento con action plan dell’OMS/EU.
 
Il Piano sottolinea le criticità principali da superare per un’azione efficace, tra cui l’estrema differenziazione della sorveglianza da Regione a Regione per una serie di variabili facoltative, la mancata effettuazione o registrazione del risultato del test di avidità per identificare le infezioni recenti, la duplicazione dei casi intra e interregionali e la sottonotifica dei casi.
 
Gli interventi su cui dovranno agire le Regioni riguardano l’unificazione dei due sistemi di sorveglianza HIV e AIDS, prevedendo una scheda di segnalazione, uniforme per tutte le regioni, utilizzata sia per la prima diagnosi di HIV che per la prima diagnosi di AIDS, l’utilizzo di una piattaforma di inserimento dati nazionale e centralizzata che preveda dei must-enter per evitare i missing nelle variabili principali e che segnali in automatico i duplicati di casi diagnosticati in anni o in regioni diverse, il monitoraggio del numero di test HIV effettuati annualmente  e la misura dell’incidenza delle infezioni recenti da HIV tra le nuove diagnosi.
 
Le strategie di prevenzione prevedono quattro livelli di interventi:
- sui comportamenti: comprendono azioni sui comportamenti a rischio (esercizio consapevole della sessualità, miglioramento dell’adesione alla terapia, corretto uso del profilattico maschile e femminile, counselling).
 
- di riduzione del rischio e del danno nelle popolazioni chiave: attraverso l’implementazione di programmi di offerta gratuita e sostituzione di siringhe sterili e di distribuzione di profilattici maschili e femminili, programmi di offerta attiva del test HIV, terapia sostitutiva, interventi sulle persone con IST.
 
- farmacologici: strategie di prevenzione basate sull’utilizzo dei farmaci antiretrovirali (PrEP, PEP, TasP, terapia per prevenire la trasmissione materno-fetale).
 
- strutturali: volti a ridurre la vulnerabilità all'infezione da HIV legata a condizioni quali la povertà, la disuguaglianza di genere, la discriminazione e l'emarginazione sociale, con particolare riferimento alla discriminazione omo-trannsfobica e alle problematiche giuridico-legali riguardanti l’esercizio della prostituzione, l’utilizzo di sostanze e la presenza non regolare nel territorio nazionale.

Il Piano descrive poi gli interventi per raggiungere queste strategie, tra cui l’azione sui comportamenti a rischio e il cosunseling, la sensibilizzazione all’uso del preservativo e all’accesso al test, l’utilizzo della terapia terapia antiretrovirale di combinazione (cART).
 
La comunicazione è una delle strategie principali del Piano. Quella alla popolazione generale presenta ancora almeno tre criticità: mancanza di continuità temporale (questo porta a non essere riconoscibile il tema); scarsità di azioni di monitoraggio e valutazioni pre e post per verificare impatto ed efficacia; scarsità di risorse investite in tutti questi anni utili ad ottenere dei risultati efficaci in ambito di comunicazione.
 
Poi attenzione massima verso i comportamenti a rischio: uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini; persone che utilizzano sostanze; detenuti; lavoratori e lavoratrici del sesso (sex workers); persone Transgender; persone che afferiscono ai centri IST. E un capitolo è dedicato alle popolazioni vulnerabili come i migranti e le persone che vivono con HIV e i loro partner.
 
Essenziale secondo il Piano è la continuità di cura. Secondo le stime, delle circa 120.000 persone con HIV/AIDS diagnosticate, il 15% non è stato inserito o mantenuto in cura. In particolare, delle 134.000 persone viventi con HIV, nel nostro paese sarebbe in trattamento il 74% delle persone (99.160) e la soppressione virale sarebbe riscontrata nel 52% (69.680). In particolare, Ia soppressione virologica è stata ottenuta nell’87,7% delle persone in terapia cART.
 
È quindi cruciale secondo il Piano che si pongano in essere strategie specifiche, attraverso indicatori sia ‘di sistema’ (quali strumenti interni ad ogni singolo centro che verifichino specifici parametri), sia personalizzati sul singolo paziente, al fine di garantire l’inizio della terapia, l’adesione alla cura (la sua mancanza è correlata all’assenza di soppressione virologica) e il mantenimento nel percorso di cura e l’azzeramento della carica virale.
 
Le nuove tecnologie(piattaforme informatiche, smartphone, app dedicate), sono le naturali candidate per la diffusione delle strategie, così come l’utilizzo di operatori sanitari di altre specializzazioni e/o di associazioni che operano sul territorio e di una rete di supporto sociale.
 
Le necessità emergenti di cura e assistenza segnalate nel piano riguardano partono dalle stime dell’Istituto Superiore di Sanità che nel 2013 indicano come più del 33% delle persone che vivono con HIV/AIDS hanno superato i 50 anni; la coorte olandese ATHENA stima che nel 2030 il 73% delle persone con HIV avrà più di 50 anni e l’80% di questi presenterà almeno una comorbosità.
 
Questo rende necessario estendere la valutazione clinica oltre gli aspetti strettamente HIV correlati, includendo la gestione di comorbosità cardiovascolari, ossee, renali, epatiche, metaboliche, neurologico/cognitive, psichiatriche, dei tumori, delle patologie genito-urinarie, di quelle geriatriche, come descritto nella Linee Guida di riferimento, superando le problematiche gestionali, con particolare riferimento ai politrattamenti e alle condizioni di fragilità/disabilità e marginalità sociale.
 
Infine, il Piano affronta le problematiche della coinfezione HIV/HCV e illustra gli interventi a favoredell’implementazione della prevenzione delle infezioni attraverso i vaccini, quelli di assistenza alla gravidanza nelle donne con HIV/AIDS e dei minori con HIV/AIDS e l’inquadramento degli interventi integrativi proposti dal Piano Nazionale AIDS nei Lea.
22 marzo 2017
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