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Le cose che avrei voluto sentire da Speranza e non ho sentito
10 SET - Questa mattina ho ascoltato l’audizione alla commissione affari sociali della Camera del ministro Speranza sul tema “individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery Fund”.
 
Non sta a me fare la cronaca dell’avvenimento tuttavia dalla relazione del ministro ricavo tre informazioni importanti:
- i tempi per la presentazione dei progetti sono slittati a gennaio,
- i progetti saranno oggetto di un confronto non solo interistituzionale ma anche con le principali rappresentanze della sanità spero anche con gli intellettuali dissidenti,
- la salute rientra per decisione europea tra i 7 grandi investimenti già decisi.
 
Ciò detto sul merito del discorso del ministro:
- apprezzo sinceramente lo spirito complessivo del suo discorso ovviamente sapendo che se in tempo di pandemia si fa il ministro per la salute è inevitabile se non obbligatorio fare del tema salute un grande cavallo di battaglia politico. Per me e per molti come me, sono 50 anni che lo è nonostante le tante politiche avverse con le quali ci siamo scontrati,
 
- confermo tutte le mie perplessità non solo sulle proposte ma sul suo approccio che continuo a considerare insufficiente e inadeguato (quelle descritte nel mio blog del 7 settembre e quelle descritte ieri su questo giornale),
 
- rilevo in questo approccio per me falsamente riformatore delle vistose contraddizioni soprattutto di ordine culturale ma non solo che mi lasciano presagire che per quanti soldi avremo la sanità non avrà vita facile.
 
Il ministro ha esordito dicendo quello che in questi mesi abbiamo detto tutti e cioè che la pandemia ha messo a nudo le rimarchevoli contraddizioni di un intero sistema sanitario fino a parlare anche lui della necessità di una svolta paradigmatica.
Ma l’unica contraddizione che ha menzionato è stata il cambiamento del contesto demografico quindi l’avvento della cronicità.
 
No caro ministro, lei non può negare, a proposito di negazionismo, i fatti della realtà, le contraddizioni più importanti della sanità, anche quelle messe in evidenza dalla pandemia, coincidono tutte con le principali politiche messe in atto in primis dall’Emilia Romagna e quindi ma solo per consecutio temporum, dal PD e dalle sue  più importanti politiche nazionali,  che, ricordo, sono per la maggior parte delle controriforme o delle mancate riforme o se si preferisce degli sbandamenti o dei cedimenti di varia natura spesso visibilmente  neoliberisti:
- la controriforma del titolo V,
- la controriforma della gestione delle usl con le aziende,
- la controriforma del territorio con i grandi accorpamenti delle usl e con profonde ri-centralizzazioni gestionali,
- la controriforma della mutualità volontaria i fondi sono stai persino incentivati,
- la controriforma dell’universalismo mettendo in campo politiche inique di distribuzione delle risorse spaccando l’Italia in due,
- la controriforma del decentramento ammnistrativo previsto dalla 833 cioè il regionalismo differenziato,
- la non riforma della medicina cioè l’errore di aver pensato di riformare la sanità a medicina e a professioni cioè a prassi invarianti,
- la non riforma della prevenzione ancora inchiodata alle  vecchie epistemologie igieniste dell’ufficiale sanitario delle norme regie,
- la non riforma del lavoro ancora ingabbiato in statuti giuridici borbonici,
- ecc. ecc.
 
Sull’invecchiamento, problema innegabile, vorrei precisare due cose:
- è un processo iniziato non ora ma dal secondo dopo guerra verso il quale le tre riforme fatte non hanno prestato la dovuta attenzione,
 
- le proposte che lei avanza non sono sostanzialmente e concettualmente diverse dalle soluzioni fino ad ora adottate nella pratica di questi anni, ma sono semplicemente una sorta di potenziamento di quello che c’è (assistenza domiciliare, assistenza di prossimità, ecc.) ma attenzione ministro, a contraddizioni rigorosamente invarianti.
 
Alla fine il cuore della proposta del ministro Speranza è un disarmante dejavù: puntiamo tutto sul territorio, sulla prossimità, sull’assistenza domiciliare, sul concetto di “locale”.
 
Ok, ma caro ministro, è esattamente la scelta fatta 40 anni fa con la 833 ribadita con la 502 ma soprattutto con la 229, ma anche contraddetta in mille modi da pessime operazioni di riordino regionale. Possibile mai che nessuno dei suoi consiglieri (non dico lei che la sanità non l’ha vissuta come me) si interroghi sulle ragioni del loro fallimento? Delle loro problematiche?
 
Perché va da sé che se lei ministro ci ripropone la minestra riscaldata del territorio, vuol dire che questa categoria concettuale almeno come è stata concepita organizzata e usata fino ad ora non ha funzionato.
 
Ora che lei pensi, dietro suggerimento, che tutto si risolverà facendo saltare i distretti (che ho notato lei non nomina mai neanche nelle sue proposte) per sostituirli, tanto per cambiare, “all’emiliana” (che ricordo è la regione che qualche anno fa  ha sperimentato fallendo i budget di distretto) con le case della salute in cui imprigionare la medicina generale, accarezzando il sogno di trasformare i medici convenzionati in dipendenti, le assicuro non solo che non è una brillante idea ma sicuramente non è la soluzione che lei spera di avere  e sicuramente è un buttare i soldi che avremo dalla finestra. Quanto ai medici di famiglia  ma quando vi deciderete a fare loro una proposta seria?
 
Le case della salute altro non sono che un ritorno ai poliambulatori territoriali dell’Inam che conosco bene per avervi lavorato da giovane, quindi non proprio una idea nuova di zecca, e il distretto sul quale da anni anch’io medito un ripensamento, merita una analisi ben più impegnativa di quella che fanno coloro che lo stanno mettendo in liquidazione. A questo proposito faccio notare che tornare alla medicina scolastica, sempre di ritorno indietro si tratta e come per le case della salute  è un altro modo per negare il distretto. Anzi mi meraviglio come mai Card non faccia sentire la sua voce.
 
Insomma signor ministro vedo e constato non solo che lei punta le sue carte su vecchie categorie concettuali ma alcune delle sue soluzioni valgono come un ritorno a vecchi modelli di servizio.
 
Capirà che per me è difficile riconoscerla come un riformatore.
 
Lei a miei occhi è il solito “riformatore che non c’è”, ripeto, all’emiliana che siccome non sa come andare avanti torna in dietro.
 
Lo dico da anni anche su questo giornale, riflettendo soprattutto sulle politiche del PD e lo ripeto: chi non riesce a riformare la sanità finisce prima o poi con il contro riformarla.
 
Siccome signor ministro non riesco, nonostante tutto, per ragioni anche di comune idealità politica  a considerarla un mio avversario ma al contrario un mio interlocutore privilegiato, anche se disattento, poco aperto, poco libero di essere libero e nei miei confronti ahimè pieno di pregiudizi, userò questo weekend per scrivere e proporle una soluzione davvero riformatrice sul problema del territorio.
 
PS: nel corso dell’audizione di questa mattina l’onorevole Nesci (M5S) che a suo tempo scrisse una interessante proposta di legge per superare la quota capitaria ponderata, ha chiesto al ministro se nel quadro dei finanziamenti del recovery fund, intendeva cambiare questo criterio. Il ministro ha risposto che a tale proposito ancora nulla si è deciso a livello regionale, aggiungendo tuttavia che per lui una soluzione poteva essere quella non di cambiare algoritmo ma solo di correggerlo introducendo l’indice di privazione.
 
Credo che già questo sia un passo in avanti importante, anche se immagino incontrerà molte obiezioni da parte delle regioni del nord, anche se, sul problema dell’algoritmo ho idee riformatrici diverse dal ministro. Per me invece proprio perché non sarà facile convincere le regioni del nord (fino ad ora hanno rifiutato l’indice di deprivazione) si tratta di cambiare algoritmo al fine di definire quello che da tempo preferisco chiamare  un vero e proprio indice di occorrenza, valido per tutte le regioni, cioè un indice di equità in grado di misurare a 360 gradi la vera necessità di salute di una comunità.
 
Ivan Cavicchi
10 settembre 2020
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